LA CONCESSIONE DEL TELEFONO

inizio spettacoli ore 20.45 – domenica ore 16.30 – sabato pomeriggio 16.00

dal 3 al 6 FEBBRAIO ESCLUSIVA REGIONALE

di Andrea Camilleri e Giuseppe Dipasquale
dal romanzo di Andrea Camilleri edito da Sellerio
regia Giuseppe Dipasquale
con Alessio Vassallo
e Mimmo Mignemi

e con (in ordine alfabetico) Cesare Biondolillo, Franz Cantalupo, Cocò Gulotta, Paolo La Bruna, Alessandro Pennacchio, Ginevra Pisani, Alfonso Postiglione, Carlotta Proietti, Alessandro Romano

scene Antonio Fiorentino
costumi Dora Argento
musiche Germano Mazzocchetti
direttore di scena Sergio Beghi
aiuto regia Angelo Grasso
assistente volontaria alla regia Giorgia Conigliaro

Teatro Biondo Palermo

Il regista Dipasquale firma una nuova edizione del fortunato adattamento teatrale dell’opera di Camilleri. Una commedia degli equivoci dai risvolti surreali, ambientata sul finire dell’Ottocento a Vigàta, il paese immaginario in cui lo scrittore agrigentino ha ambientato tutti i suoi romanzi, fino alle avventure del commissario Montalbano. La semplice richiesta di attivazione di una linea telefonica, avanzata dal signor Genuardi, innesca una catena di equivoci e imbrogli che diventa metafora di una condizione esistenziale.
La concessione del telefono è, tra i romanzi di Camilleri, uno dei più divertenti, una sorta di commedia degli equivoci ambientata in una terra, la Sicilia, che è metafora di un modo di essere e di ragionare, arcaica e moderna nello stesso tempo, comica e tragica, logica e paradossale.
Cosa indica la ridicola e allo stesso tempo legittima pretesa di un personaggio come Pippo Genuardi, che vuole ottenere una linea telefonica per potersi meglio organizzare con la sua amante? È la metafora di un crudele gioco dell’inutilità umana e sociale o la pessimistica ipotesi di un atavico immobilismo del processo storico di evoluzione dell’individuo e della società?
Camilleri sembra non voler dare risposte, ma allo stesso tempo, con gli strumenti ingegnosi della lingua e del gioco letterario e teatrale, ci pone dinanzi a situazioni paradossali che smascherano le ipocrisie, i pregiudizi e la cattiva coscienza di una comunità molto simile a quella in cui viviamo.

 

LA MIA VITA RACCONTATA MALE

inizio spettacoli ore 20.45 – domenica ore 16.30 – sabato pomeriggio 16.00

dal 17 al 20 FEBBRAIO ESCLUSIVA REGIONALE

da Francesco Piccolo
con Claudio Bisio
e i musicisti Marco Bianchi e Pietro Guarracino
musiche Paolo Silvestri
scene e costumi Guido Fiorato
regia Giorgio Gallione

Teatro Nazionale di Genova

Un po’ romanzo di formazione, un po’ biografia divertita e pensosa, un po’ catalogo degli inciampi e dell’allegria del vivere, La mia vita raccontata male ci segnala che se è vero che ci mettiamo una vita intera a diventare noi stessi, quando guardiamo all’indietro la strada è ben segnalata da una scia di scelte, intuizioni, attimi, folgorazioni e sbagli, spesso tragicomici o paradossali. Attingendo dall’enorme e variegato patrimonio letterario di Francesco Piccolo, lo spettacolo si dipana in una eccentrica sequenza di racconti e situazioni che inesorabilmente e bizzarramente costruiscono una vita che si specchia in quella di tutti. Dalla prima fidanzata alle gemelle Kessler, dai mondiali di calcio all’impegno politico, dall’educazione sentimentale alla famiglia o alla paternità, dall’Italia spensierata di ieri a quella sbalestrata di oggi, fino alle scelte professionali e artistiche che inciampano  in Bertolt  Brecht o si intrecciano con Mara Venier, lo spettacolo, montato in un continuo perfido e divertentissimo ping-pong tra vita pubblica e privata, reale e romanzata, racconta “male”, in musica e parole, tutto ciò che per scelta o per caso concorre a fare di noi quello che siamo.

Perché la vita, sembra dirci questo viaggio agrodolce nella vita del protagonista, forse non è esattamente quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda. E che spesso non si vive la vita come vuoi tu, ma come vuole lei. Lo spettacolo è perciò anche una indiretta riflessione sull’arte del narrare, su come il tempo modifica e trasfigura gli accadimenti, giocando spesso a idealizzare il passato, cancellando i brutti ricordi e magnificando quelli belli, reinventando così il reale nell’ordine magico del racconto. Ma, ha scritto Gabriel Garcia Marquez, le bugie dei bambini non sono altro che i segni di un grande talento di narratore. In questa tessitura variegata e sorprendente si muove Claudio Bisio accompagnato da due musicisti d’eccezione, per costruire una partitura emozionante, spesso profonda ma pure giocosamente superficiale, personale, ideale, civile ed etica.

Ci sono due tipi di storie che si possono raccontare: quelle che fanno sentire migliori e quelle che fanno sentire peggiori, ma quello che ho capito è che alla fine ognuno di noi è fatto di un equilibrio finissimo di tutte le cose, belle o brutte; e ho imparato che, come i bastoncini dello shangai – se tirassi via la cosa che meno mi piace della vita, se ne verrebbe via per sempre anche quella che mi piace di più. Francesco Piccolo

LES NUITS BARBARES

OU LES PREMIERS MATINS DU MONDE

inizio spettacoli ore 20.45 

22 – 23 FEBBRAIO ESCLUSIVA REGIONALE

coreografia Hervé Koubi
assistente alla coreografia Fayçal Hamlat
musiche Wolfgang Amadeus Mozart, Gabriel Fauré, Richard Wagner e musiche tradizionali algerine
con i danzatori della Compagnie Hervé Koubi: Houssni Mijem, El Houssaini Zahid, Oualid Guennon, Mohammed Elhilali, Bendehiba Maamar, Tomi Cinej, Giacomo Buffoni, Badr Benr Guibi, Ismail Oubbajaddi, Blerim Jashari, Nadjib Meherhera, Vladimir Gruev

creazione musicale Maxime Bodson | arrangiamenti Guillaume Gabriel
luci Lionel Buzonie
costumi e accessori Guillaume Gabriel
con l’assistenza di Claudine G-Delattre | coltelli Esteban Cedres
maschere gioiello realizzate con il sostegno e con i migliori cristalli Swarovski – Swarovski Elements

co-produzione Cannes – Festival de Danse / Centre Chorégraphique National de La Rochelle – Poitou Charente – CieAccrorap / Centre Chorégraphique National de Creteil et du Val de Marne – Compagnie Käfig / Ballet de l’Opéra National du Rhin – Centre Chorégraphique National de Mulhouse / Théâtre de Vitré / Sémaphore – Scène conventionnée de Cébazat / La Papeterie d’Uzerche – Centre de Développement Chorégraphique en préfiguration / Centre Culturel Yves Furet – La Souterraine / Le Forum de Fréjus.
con il supporto di: Channel – Scène Nationale de Calais / Conservatoire de Calais / Domaine Départemental de l’étang des Aulnes – Département des Bouches du Rhône / Conservatoire de Musique et de Danse de Brive-la-Gaillarde / École Supérieure de Danse de Cannes – Rosella Hightower / CDEC – Studios actuels de la danse de Vallauris / Ville de Vallauris / MAC de Sallaumines / Hivernales d’Avignon – Centre de Développement Chorégraphique / Théâtre de Fossur-Mer / Théâtre la Colonne de Miramas / Pianock’tail de Bouguenais / Safran – Scène conventionnée d’Amiens / La Fabrique Mimont – Cannes

Les nuits barbares, ou les premiers matins du monde è un’opera dedicata al tema dell’origine della cultura mediterranea, un lavoro definito dalla stampa internazionale «spettacolare, sublime e superlativo»”.

Con questo spettacolo, il coreografo franco-algerino Hervé Koubi ha concepito un gioiello che unisce la potenza ipnotica della parata da guerra e la precisione di un balletto classico e affronta la paura ancestrale del barbaro, portando agli occhi del pubblico ciò che di più affascinante c’è nell’incontro fra culture e religioni.
I danzatori fanno vorticare le loro gonne come dervisci, brandendo lame e coltelli al suono della musica sacra di Mozart e Fauré, mescolata con ipnotiche melodie tradizionali algerine, dialogando con il patrimonio musicale e spirituale dell’occidente. La loro sensualità virile e l’energia mozzafiato evocano un’umanità intera di Persiani, Celti, Greci, Vandali e Babilonesi, quasi delle apparizioni da tempi remoti e oscuri che hanno influenzato quel grande crocevia di culture che è il Mediterraneo. Tutti questi elementi storici e culturali si mescolano, dal punto di vista stilistico, con il linguaggio della breakdance e dell’hip-hop, reinventati in maniera spettacolare, in un mix di generi dalla sensualità quasi spirituale.Non lavorando sulla narrazione, ma sugli ambienti, sulla presenza della carne e la potenza delle immagini, la compagnia si trasforma da esercito di guerrieri a corpo di ballo o coro d’opera.

 

UNO SPETTACOLO DI FANTASCIENZA

QUANTE NE SANNO I TRICHECHI

inizio spettacoli: sabato ore 20.45 – domenica ore 16.30

26 – 27 FEBBRAIO_SPERIMENTALE
FUORI ABBONAMENTO PRIMA NAZIONALE

testo e regia Liv Ferracchiati

con (in ordine alfabetico) Andrea Cosentino, Liv Ferracchiati e Petra Valentini

aiuto regia Anna Zanetti
dramaturg di scena Giulio Sonno
scene e costumi Lucia Menegazzo
luci Lucio Diana
suono Giacomo Agnifili
lettore collaboratore Emilia Soldati

MARCHE TEATRO – CSS Teatro Stabile di Innovazione del Friuli Venezia Giulia – Teatro Metastasio di Prato

Come si racconta la fine del mondo? 

E poi: quale mondo sta finendo?
In Uno spettacolo di fantascienza una rompighiaccio è diretta al Polo Sud, i trichechi rotolano giù dalle rocce e l’asse del mondo si sposta, la Terra si crepa nel mezzo eppure il fuoco è su altro, a crollare sono i tasselli delle nostre identità.
Per comunicare noi stessi siamo costretti a scegliere, più o meno consapevolmente, i segni che vanno a comporre le nostre caratteristiche.
Può sembrare filosofico, in realtà è molto concreto perché, queste distratte adesioni influenzano anche il taglio dei nostri capelli, il modo in cui ci vestiamo o persino la nostra gestualità.
Cosa accadrebbe, dunque, se provassimo a spostare il punto di vista comune rispetto alle faccende che riteniamo più ovvie?
Perché dividiamo il tempo in 24 ore e non in 48 mezzore? Perché pitturarsi le labbra col rossetto è un’attività da considerarsi femminile e pitturare una parete è da considerarsi maschile? Perché essere alti è positivo mentre essere bassi è negativo? È sempre così o varia in base al genere?
Chi ha scelto per noi cosa ci dovesse piacere e cosa, invece, no?
Quello che abbiamo costruito della nostra identità, dunque, ci appartiene davvero o sono rappresentazioni influenzate dalla cultura in cui siamo immersi?
Se togliessimo, strato dopo strato, tutti i segni che ci raccontano, cosa rimarrebbe? Forse si potrebbe avvertire un vago senso di minaccia, perché il rischio è che possa rimanere davvero poco di quel che siamo.

Così Uno spettacolo di fantascienza, che della fantascienza ha la surrealtà e la prossimità col reale, è una drammaturgia in cui cambia bruscamente il linguaggio, perché anche la scrittura segue regole e convezioni. Come si muoverà, allora, la percezione? Dove ci posizioneremo? Come cercheremo di decifrare quello che abbiamo davanti se regole e convenzioni conosciute saltano di continuo?
Lo spettatore, dunque, potrebbe sentirsi spiazzato, come capita quando cerchiamo di definire gli oggetti che abbiamo intorno, le altre persone, la vita.
È impossibile conservare una forma definitiva, forse possiamo solo prendere consapevolezza e restare in ascolto di noi stessi.


L’idea del testo di Uno spettacolo di fantascienza, pur avendo avuto diverse riscritture, nasce dal progetto École des Maîtres, nell’edizione speciale 2020 e 2021 dedicata ai drammaturghi europei, condotto da Davide Carnevali, in cui Liv Ferracchiati è stato selezionato a partecipare come autore.
Lo spettacolo dopo le date di Ancona sarà in scena a Udine al Teatro San Giorgio il 4 e 5 marzo.
La tournée ripartirà poi nel gennaio 2023.

 

 

ELENIT // the things we know we knew are now behind

inizio spettacoli ore 20.45 

10 – 11 MARZO ESCLUSIVA REGIONALE

regia e coreografia Euripides Laskaridis // OSMOSIS 
con Amalia Kosma/Chrysanthi Fytiza, Chara Kotsali/Eirini Boudali, Manos Kotsaris, Euripides Laskaridis, Thanos Lekkas/Konstantinos Georgopoulos, Dimitris Matsoukas, Efthimios Moschopoulos, Giorgos Poulios, Michalis Valasoglou/Nikos Dragonas & Fay Xhuma
costumi Angelos Mentis
musica originale e disegno del suono Giorgos Poulios
scene Loukas Bakas
disegno luci Eliza Alexandropoulou
consulenza drammaturgica Alexandros Mistriotis

un progetto di Euripides Laskaridis // OSMOSIS [GR] prodotto da Onassis Stegi [Athens – GR] sostenuto dalla Fondazione Hermès [FR] nell’ambito del programma New Settings
coprodotto da Théâtre de la Ville [Paris – FR], Teatro della Pergola [Florence – IT], Pôle européen de création – Ministère de la Culture / Biennale de la danse de Lyon 2020 [FR], Teatro Municipal do Porto [PT], Festival TransAmériques [Montreal – CA], Les Halles de Schaerbeek [Brussels – BE], Teatre Lliure [Barcelona – ES], Malraux – Scène nationale Chambéry Savoie [FR], Théâtre de Liège [BE], Julidans [Amsterdam – NL] & Bonlieu Scène Nationale Annecy [FR] in collaborazione con ICI—Centre chorégraphique national Montpellier – Occitanie [FR] in associazione con EdM Productions – Rial & Eshelman
sostenuto dal Ministero Greco della Cultura e dello Sport
première: novembre 2019, Onassis Stegi, Atene
il tour di ELENIT riceve il supporto di Onassis Culture / Stegi’s “outward Turn” Cultural Export Program

Euripides Laskaridis affronta i temi del ridicolo e della trasformazione per indagare la perseveranza dell’essere umano di fronte all’ignoto. Le sue opere, caratterizzate da un senso di caos contenuto, non convenzionali e non lineari, giocano con le possibilità di ciò che sta intorno alle cose: rompendo, distorcendo, riformando e giocherellando con materiali e detriti della vita quotidiana per creare l’inaspettato. Il corpo è il mezzo attraverso il quale gli spazi di Euripides prendono vita.
L’azione è in continua evoluzione e ruota attorno a personaggi che sono reali e realizzati scrupolosamente, ma allo stesso tempo spudoratamente immaginari. Attraverso di loro si aprono nuovi territori che diventano – grazie a svolte improvvise – esilaranti e strazianti, grotteschi e commoventi, spaventosi e assurdi.
Vincitore di una borsa di studio della Onassis Foundation che lo ha portato al Brooklyn College di New York e di numerosi riconoscimenti, quali quello di essere stato tra i primi a vincere una borsa di studio della Pina Bausch Fellowships, Euripides Laskarids ha iniziato la sua attività come attore, lavorando con registi quali Dimitris Papaioannou e Robert Wilson, poi come regista di suoi spettacoli e di cortometraggi che hanno ricevuto numerosi premi. Nel 2009 ha fondato la Compagnia Osmosis Performing Arts Co. con cui ha prodotto spettacoli che sono stati presentati nei teatri di tutto il mondo.

BREVI INTERVISTE CON UOMINI SCHIFOSI

inizio spettacoli ore 20.45 

4 – 5 MARZO_SPERIMENTALE
ESCLUSIVA REGIONALE

di David Foster Wallace
traduzione Aldo Miguel Grompone e Gaia Silvestrini

regia e drammaturgia Daniel Veronese
con Lino Musella, Paolo Mazzarelli

disegno luci Marciano Rizzo
direzione tecnica Marciano Rizzo e Gianluca Tomasella
fonica e video Marcello Abucci
realizzazione video Alessandro Papa
responsabile di produzione Gaia Silvestrini
assistente alla produzione Gianluca Bonagura
foto di scena Marco Ghidelli

produzione Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Marche Teatro, Tpe Teatro Piemonte Europa, FOG Triennale Milano Performing Arts, Carnezzeria srls
con il sostegno di Timbre 4, Buenos Aires, e Teatro di Roma – Teatro Nazionale

Il drammaturgo e regista Daniel Veronese, maestro indiscusso del teatro argentino e nel continente latino-americano, porta in scena le Brevi interviste con uomini schifosi di David Foster Wallace, dando vita, con sguardo feroce e molto humor, a uno zibaldone di perversioni e meschinità, che ritraggono il maschio contemporaneo come un essere debole, che ricorre al cinismo se non alla violenza come principale modalità relazionale con l’altro sesso. L’ironia irresistibile di Wallace tratta la natura umana con una suprema abilità nel descrivere il quotidiano; il suo è uno humor talmente intriso di drammaticità da rasentare il sadismo. Attraverso una rosa di racconti tratti dalle Brevi interviste con uomini schifosi, Veronese traccia una propria linea drammaturgica che racconta di uomini incapaci di avere relazioni armoniche con le donne, e ci invita a osservarli da vicino. C’è l’uomo che insulta la moglie che lo sta lasciando, la disprezza e la deride, come una cosetta incapace di vivere senza lui accanto a sostenerla; c’è l’uomo che vanta la propria infallibilità nel riconoscere la donna che ci sta senza fare storie; c’è quello che usa una propria deformazione per portarsi a letto quante più donne gli riesce; quello che rimorchia in aeroporto una giovane in lacrime perché appena abbandonata dall’amato: una galleria impietosa di mostri. Daniel Veronese traspone queste voci, scritte da Wallace in forma di monologo al maschile, in dialoghi tra un uomo e una donna. In scena però chiama a interpretarli due uomini, che si alternano nei due ruoli maschile e femminile, in una dialettica che mette in luce tutte le fragilità, le gelosie, il desiderio di possesso, la violenza, il cinismo insiti nei rapporti affettivi. Il risultato è comico e disturbante ad un tempo.

 

LO STRANO CASO DEL CANE UCCISO A MEZZANOTTE

inizio spettacoli ore 20.45 – domenica ore 16.30 – sabato pomeriggio 16.00

dal 17 al 20 MARZO

di Simon Stephens dal romanzo di Mark Haddon
traduzione di Emanuele Aldrovandi
con Daniele Fedeli, Elena Russo Arman, Davide Lorino, Ginestra Paladino Corinna Agustoni, Cristina Crippa, Marco Bonadei, Alessandro Mor, Nicola Stravalaci, Cinzia Spanò
regia Ferdinando Bruni/Elio De Capitani
scene di Andrea Taddei
costumi di Ferdinando Bruni
musiche originali Teho Teardo
video Francesco Frongia
disegni Ferdinando Bruni
movimenti scenici Riccardo Olivier e Chiara Ameglio di Fattoria Vittadini
luci Nando Frigerio
suono Giuseppe Marzoli
maschere Saverio Assumma

Teatro dell’Elfo, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale
con il contributo di NEXT laboratorio delle idee per la produzione e la distribuzione dello spettacolo dal vivo 2018-2019, Fondazione Cariplo e Regione Lombardia

Mark Haddon con il suo romanzo Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte è riuscito in un’impresa eccezionale: ha dominato le classifiche mondiali raccontando, come in un giallo, le peripezie di un adolescente autistico (un adolescente Asperger, per la precisione) alle prese con la più grande sfida della sua vita.
E la forza di questa splendida storia non si è esaurita nelle pagine del libro, ma è si propagata in palcoscenico con l’intelligente riscrittura di Simon Stephens: il suo testo ha ottenuto a Londra un eccezionale successo di pubblico e ha vinto nel 2013 sette Laurence Olivier Awards (tra cui migliore opera teatrale) per poi trasferirsi a New York dove ha vinto quattro Tony Awards.
Un successo che Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani hanno saputo rinnovare sulle scene italiane con scelte registiche lontane da quelle iper-tecnologiche dell’edizione inglese, ma capaci di esaltare la qualità della scrittura, il suo ritmo, la polifonia dei personaggi e il lavoro attorale.
La commedia segue fedelmente la trama dell’originale: il quindicenne Christopher decide di indagare sulla morte di Wellington, il cane della vicina. Capisce subito di trovarsi davanti a uno di quei misteri che il suo eroe, Sherlock Holmes, sapeva risolvere, perciò incomincia a scrivere un libro mettendo insieme gli indizi del caso dal suo punto di vista. E il suo punto di vista è davvero speciale. Perché Christopher ha un disturbo dello spettro autistico che rende complicato il suo rapporto con il mondo. Odia essere toccato, odia il giallo e il marrone, si arrabbia se i mobili di casa vengono spostati, non riesce a interpretare l’espressione del viso degli altri… Scrivendo il suo libro, Christopher inizia a far luce su un mistero ben più importante di quello del cane barbone. Come è morta sua madre? Perché suo padre non vuole che lui faccia troppe domande ai vicini?

CYRANO DE BERGERAC

inizio spettacoli ore 20.45 – domenica ore 16.30 – sabato pomeriggio 16.00

dal 31 MARZO al 3 APRILE PRIMA NAZIONALE

di Edmond Rostand
con Arturo Cirillo
e con Valentina Picello, Rosario Giglio, Francesco Petruzzelli, Giacomo Vigentini, Giulia Trippetta
adattamento e regia Arturo Cirillo
scene Dario Gessati
costumi Gianluca Falaschi
luci Paolo Manti
musica originale e rielaborazioni Federico Odling
costumista collaboratrice Nika Campisi
assistente alla regia Mario Scandale
assistente alla scene Eleonora Ticca

MARCHE TEATRO, Teatro Nazionale di Genova, Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, ERT Emilia Romagna Teatro

Andare con il ricordo ad un musical da me visto da ragazzino a Napoli, nell’ancora esistente Teatro Politeama, è stato il primo moto di questo nostro nuovo spettacolo. Il musical in questione era il “Cyrano” tratto dalla celeberrima commedia di Rostand, a sua volta ispirata ad un personaggio storicamente vissuto, coetaneo del mio amato Molière. Riandare con la memoria a quella esperienza di giovane spettatore è per me risentire, forte come allora, l’attrazione per il teatro, la commozione per una storia d’amore impossibile e quindi fallimentare, ma non per questo meno presente, grazie proprio alla finzione della scena. Lo spettacolo che almeno trentacinque anni dopo porto in scena non è ovviamente la riproposizione di quel musical (con le musiche di Domenico Modugno) ma una continua contaminazione della vicenda di Cyrano di Bergerac, accentuandone più il lato poetico e visionario e meno quello di uomo di spada ed eroe della retorica, con delle rielaborazioni di quelle musiche, ma anche con elaborazioni di altre musiche, da Èdith Piaf a Fiorenzo Carpi. Un teatro canzone, o un modo per raccontare comunque la famosa e triste vicenda d’amore tra Cyrano, Rossana e Cristiano attraverso non solo le parole ma anche le note, che a volte fanno ancora di più smuovere i cuori, e riportarmi a quella vocazione teatrale, che è nata anche grazie al dramma musicale di un uomo che si considerava brutto e non degno d’essere amato. Un uomo, o un personaggio, in fondo salvato dal teatro, ora che il teatro ha più che mai bisogno di essere salvato.

Arturo Cirillo

LA CLASSE

inizio spettacoli ore 20.45 – domenica ore 16.30 – sabato pomeriggio 16.00

dal 7 al 10 APRILE

di Vincenzo Manna
con Claudio Casadio, Andrea PaolottiValentina Carli, Edoardo Frullini, Federico Le PeraCaterina Marino, Andrea Monno, Giulia Paoletti

regia Giuseppe Marini

scene Alessandro Chiti
costumi Laura Fantuzzo
musiche Paolo Coletta
light designer Javier Delle Monache

Società per Attori, Accademia Perduta/Romagna Teatri, Goldenart Production
in collaborazione con Tecnè, Società Italiana di Riabilitazione Psicosociale e Phidia
il progetto e lo spettacolo sono sostenuti da Amnesty International – Sezione Italia

I giorni di oggi. Una cittadina europea in forte crisi economica. Disagio, criminalità e conflitti sociali sono il quotidiano di un decadimento generalizzato che sembra inarrestabile. A peggiorare la situazione, appena fuori dalla città, c’è lo “Zoo”, uno dei campi profughi più vasti del continente che ha ulteriormente deteriorato un tessuto sociale sull’orlo del collasso ma, paradossalmente, ha anche portato lavoro, non ultima la costruzione di un muro intorno al campo per evitare la fuga dei rifugiati. Alla periferia della cittadina, in uno dei quartiere più popolari, a pochi chilometri dallo “Zoo”, c’è una scuola superiore, un Istituto Comprensivo specializzato in corsi professionali che avviano al lavoro. La scuola, le strutture, gli studenti e il corpo docente, sono specchio esemplare della depressione economica e sociale della cittadina.
Albert, straniero di terza generazione intorno ai 35 anni, laureato in Storia, viene assunto all’Istituto Comprensivo nel ruolo di Professore Potenziato: il suo compito è tenere per quattro settimane un corso di recupero pomeridiano per sei studenti sospesi per motivi disciplinari. Dopo anni in “lista d’attesa”, Albert è alla prima esperienza lavorativa ufficiale. Il Preside dell’Istituto gli dà subito le coordinate sul tipo di attività che dovrà svolgere: il corso non ha nessuna rilevanza didattica, serve solo a far recuperare crediti agli studenti che, nell’interesse della scuola, devono adempiere all’obbligo scolastico e diplomarsi il prima possibile.

Tuttavia, intravedendo nella loro rabbia una possibilità di comunicazione, Albert, riesce a far breccia nel loro disagio e conquista la fiducia della maggior parte della classe. Abbandona la didattica suggerita e propone agli studenti di partecipare ad un concorso, un “bando europeo” per le scuole superiori che ha per tema “I giovani e gli adolescenti vittime dell’Olocausto”.

Gli studenti, inizialmente deridono la proposta di Albert, ma si lasciano convincere quando questi gli mostra un documento che gira da qualche tempo nello “Zoo”: foto e carte di un rifugiato che prima della fuga dal paese d’origine aveva il compito di catalogare morti e perseguitati dal regime per il quale lavorava. Il regime, grazie all’appoggio di alcune nazioni estere, nell’indifferenza pressoché totale delle comunità internazionali, è impegnato in una sanguinosa guerra civile che sta decimando intere città a pochi chilometri dal confine europeo. È il conflitto da cui la maggior parte dei rifugiati dello “Zoo” scappano… È quello l’Olocausto di cui gli studenti si dovranno occupare. La cittadina viene però scossa da atti di violenza e disordine sociale, causati dalla presenza dello “Zoo”. Le reazioni dei ragazzi sono diverse e a tratti imprevedibili. Per Albert è sempre più difficile tenere la situazione sotto controllo…

BROS

inizio spettacoli ore 20.45 

22 – 23 APRILE ESCLUSIVA REGIONALE

Concezione e regia: Romeo Castellucci
Musica: Scott Gibbons

Con Valer Dellakeza e con gli agenti Luca Nava, Sergio Scarlatella
E con uomini dalla strada

Collaborazione alla drammaturgia: Piersandra Di Matteo
Assistenti alla regia: Silvano Voltolina, Filippo Ferraresi
Scrittura degli stendardi: Claudia Castellucci

Direzione tecnica: Eugenio Resta
Tecnico di palco: Andrei Benchea
Tecnico luci: Andrea Sanson
Tecnico del suono: Claudio Tortorici
Responsabile Costumi: Chiara Venturini
Sculture di scena e automazioni: Plastikart studio
Realizzazione costumi: Grazia Bagnaresi
Traduzioni dal latino: Stefano Bartolini

Direttrice di produzione: Benedetta Briglia
Addetta alla produzione: Giulia Colla
Promozione e distribuzione: Gilda Biasini
Equipe tecnica in sede: Carmen Castellucci, Francesca Di Serio, Gionni Gardini
Amministrazione: Michela Medri, Elisa Bruno, Simona Barducci
Consulenza economica: Massimiliano Coli

Societas, in co-produzione con: Kunsten Festival des Arts Brussels ; Printemps des Comédiens Montpellier 2021; LAC Lugano Arte Cultura; Maillon Théâtre de Strasbourg – Scène Européenne; Temporada Alta 2021; Manège-Maubeuge Scène nationale; Le Phénix Scène nationale Pôle européen de création Valenciennes; MC93 Maison de la Culture de Seine-
Saint-Denis; ERT Emilia Romagna Teatro Italy; Ruhrfestspiele Recklinghausen; Holland Festival Amsterdam; V-A-C Fondazione; Triennale Milano Teatro; National Taichung Theater, Taiwan

Lo spettacolo si apre con scene della quotidianità, ma la naturalezza che le caratterizza si fa divorare dall’onda progressiva di una regolamentazione. Una dittatura invisibile governa lo spettacolo.

Gli Attori reclutati non hanno imparato la parte: la imparano mentre la assumono, attraverso l’esecuzione di ordini telecomandati. Questi Attori, per poter partecipare allo spettacolo, hanno controfirmato un patto in cui dichiarano di attenersi fedelmente ai comandi. Si tratta di un impegno che essi devono essere in grado di condurre fino in fondo. La coscienza si ferma qui. Poi comincia l’esperienza dell’alienazione, in cui eseguiranno azioni senza capire, né prepararsi.

Cosa significa questo? Questa condizione, lungi dall’essere un’improvvisazione costruttiva, schiaccia il tempo della consapevolezza fino ad azzerarlo. È un paradigma di velocità massima che brucia ogni interstizio minimamente critico. È dunque un ‘abbandono’, un votarsi, un annullarsi, in una parte che gli Attori non conoscono? Sembrano gesti intimi, a vederli dall’esterno, e lo sono, ma noi sappiamo anche che sono gesti ‘intimati’, in una oscura confusione tra intimità e intimazione; in una frenesia che non consente alcuno spazio al ripensamento.

Ciò che si vede è un mucchio di azioni, che vieppiù aumenta fino a saturare il palcoscenico, fino a riempire il mondo. Si tratta di azioni semplici, quotidiane, forse strane perché fuori contesto, ma comunque ben riconoscibili ed eseguite individualmente. Vi è una prepotenza dell’azione rispetto al pensiero, il quale non sembra avere alcuna importanza qui; il pensiero abdica al suo ruolo di causa che genera azioni, e pure a quello di giudice delle azioni appena compiute. Tutti sanno esattamente cosa fare, ma questa veduta, che si apre come da una terrazza sporgente su una piazza, suscita la domanda: chi sono? cosa fanno? dove vanno? E ci accorgiamo che, nel loro essere individui, sono, in realtà, simili, anzi somiglianti. Sono fratelli. Oppure sembra la moltiplicazione allucinata di una stessa persona che, nel medesimo tempo, condensa centinaia di azioni differite saturando lo spazio. No, non si tratta di decisioni. Si tratta di esecuzioni. In un tempo strozzato.

A rafforzare la somiglianza della condizione di questi uomini, ora osserviamo che tutti vestono in uniforme. È la divisa tipica da poliziotto del cinema americano. Muto e comico. Il poliziotto ha il compito di far rispettare la Legge, ma qui la Legge si trasforma puntualmente in farsa.

La precisa iconografia del poliziotto del cinema muto convoca la Legge che prepara e innesca il dispositivo del disastro. Il comico come hard-core della Legge. Le potenzialità comiche – che inevitabilmente si scatenano – curvano alfine verso una dimensione oscura e perturbante.

Nella pièce la schematica determinazione dei comandi costringe a un serrato confronto con l’indeterminatezza del tempo di esecuzione che, scorrendo, reca con sé il caso e l’inesperienza; il timore di sbagliare e la perseveranza nella fermezza; la comicità e la violenza: l’una il sembiante dell’altra.

Alle presenze di questi pseudo-attori è chiesto di incarnare una qualità scenica che vive nell’istantaneità di compimento dell’azione; che taglia fuori ogni psicologia meditata per far spazio alla verità dell’esperienza, perché ciò che conta, qui, è l’immediata incorporazione della risposta e non l’improvvisazione smaliziata di chi conosce il mestiere.

Tra le numerose scene che affollano il palcoscenico si formano situazioni insolite ed emblematiche. Esse segnalano il doppio e triplo-fondo dell’apparenza; il versante tenebroso della logica; l’inconsistenza delle certezze… Le immagini mentali prendono il sopravvento nello spazio e si abbinano a certi motti, in un totale sincretismo, per approdare a un nuovo effettivo linguaggio: enigmatico, arcano, muto, formato da figure che rimandano sempre a qualcos’altro, alla stregua dei geroglifici e, al contrario di quanto accade nel linguaggio ordinario, dove le cose sono significate soltanto dai nomi che le definiscono.

Bros costringe insieme le parole ridotte a comandi con il linguaggio muto delle immagini e con le parole emblematiche dei motti. Si sviluppa in tal modo un discorso circolare che ora parla per immagini e ora parla per parole. L’attore è spettatore egli stesso di quanto viene facendo. Il nodo tra attore e spettatore si stringe sino a soffocare ogni distinzione. La recita coincide con la vita che accade realmente. La parte non è più da preparare, ma da verificare. Nessuna improvvisazione, bensì il baratro di un presente assoluto.