THANKS FOR VASELINA

inizio spettacoli ore 16.30

15 GENNAIO Teatro Sperimentale

CARROZZERIA ORFEO 

drammaturgia Gabriele Di Luca
regia Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti, Alessandro Tedeschi
con Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti, Sonia Barbadoro, Pier Luigi Pasino, Carlotta Crolle
musiche originali Massimiliano Setti
luci Giovanni Berti
costuml Stefania Cempini
scene Lucio Diana
una coproduzione con Marche Teatro

Gli Stati Uniti d’America, con il sostegno dei paesi alleati, hanno deciso di bombardare il Messico, distruggendo tutte le piantagioni di droga e classificando le numerose vittime come “effetti collaterali”, con il pretesto di “esportare” la propria democrazia. Fil, cinico-disilluso, e Charlie, determinato animalista e difensore dei diritti civili, entrambi trentenni e con un futuro incerto, coltivano nel loro appartamento grossi quantitativi di Marijuana e, con due opposte motivazioni, decidono di tentare il colpo della propria vita: invertire il normale andamento del mercato della Marijuana esportandola dall’Italia al Messico. Ai due spacciatori si aggiungeranno Wanda, una trentenne obesa, insicura e membra di un fallimentare corso di autostima, e Lucia, madre di Fil, una cinquantenne frustrata appena uscita da una clinica per disintossicarsi dal vizio che la perseguita. Tutto si complica, però, quando dopo quindici anni di assenza, torna a casa il padre di Fil ed ex marito di Lucia, svelando a tutti il suo pericoloso segreto.

HANDS DO NOT TOUCH YOUR PRECIOUS ME

The mingled universes of Wim Vandekeybus, Olivier de Sagazan & Charo Calvo

inizio spettacoli sabato ore 20.45 e domenica ore 16.30

28 e 29 GENNAIO ESCLUSIVA REGIONALE

regia e coreografia Wim Vandekeybus
creato con Olivier de Sagazan
interpretato da Matteo Principi, Lieve Meeussen, Wim Vandekeybus, Maria Kolegova, Mufutau Yusuf, Borna Babic, Maureen Bator, Davide Belotti, Pieter Desmet e Anna Karenina Lambrechts
creazione artistica con l’argilla Olivier de Sagazan
musica composta e prodotta da Charo Calvo
musica originale aggiuntiva (red dance) Norbert Pflanzer
telecamera live Wim Vandekeybus
assistente artistico Margherita Scalise
drammaturgia Erwin jans
costumi Isabelle Lhoas
assistente costumista Isabelle De Cannière
accessori Cèline De Schepper
disegno luci Wim Vandekeybus & Thomas Glorieux
fonico Christian Schröder
coordinamento tecnico e direzione di scena Thomas Glorieux
assistente coordinamento tecnico Benjamin Verbrugge
produzione Ultima Vez
coproduzione KVS Bruxelles, Teatro Comunale di Ferrara
con il sostegno del Governo Federale Belga, Casa Kafka Pictures, Belfius

Ultima Vez è sostenuta dalle autorità fiamminghe e dalla commissione della comunità fiamminga della regione di Bruxelles Capitale

 

Tuffatevi nell’universo oscuro e mitico di Hands do not touch your precious Me, la nuova creazione di Wim Vandekeybus.

Il coreografo, regista e filmmaker tesse un racconto mitologico di confronto e trasformazione, luce e oscurità, morte e rinascita. Attraverso il paesaggio sonoro della compositrice Charo Calvo, l’energia dei danzatori e la potente performance visiva creata da Olivier de Sagazan, questo spettacolo si trasforma in un viaggio poetico negli inferi. Un mondo in cui i corpi si bilanciano come sculture viventi e carnali tra l’utopico e il macabro, il potente e il fragile.

Il titolo poetico e misterioso è un verso tratto da un inno dell’alta sacerdotessa sumera Enheduanna alla dea Inanna. Di tutti i miti che circondano la dea Inanna, la sua spettacolare discesa negli inferi è il più intrigante. Inanna è l’incarnazione divina dei paradossi dell’esistenza umana e le sue gesta sono un riflesso delle tensioni e delle contraddizioni che ogni persona è costretta a superare nella vita.

COSÌ È (SE VI PARE)

inizio spettacoli ore 20.45 – domenica ore 16.30

dal 2 al 5 FEBBRAIO

di Luigi Pirandello
regia di Luca De Fusco
con Eros Pagni, Anita Bartolucci, Giacinto Palmarini
Domenico Bravo, Roberto Burgio, Valeria Contadino, Giovanna Mangiù, Plinio Milazzo, Lara Sansone, Paolo Serra, Irene Tetto
scene e costumi di Marta Crisolini Malatesta
luci di Gigi Saccomandi
musiche a cura di Gianni Garrera

produzione Teatro Stabile di Catania / Teatro Biondo di Palermo / Tradizione e Turismo srl Centro di Produzione Teatrale – Teatro Sannazaro / Compagnia La Pirandelliana
prima nazionale Villa Campolieto Festival delle Ville Vesuviane – Progetto 700.

Un grande classico del teatro di Pirandello, quello che indusse Giovanni Macchia a elaborare la teoria della “stanza della tortura”, viene oggi rivisitato da Luca De Fusco, che per questa sua sesta regia pirandelliana torna a lavorare con Eros Pagni nell’allestimento coprodotto dal Teatro Stabile di Catania, dal Teatro Biondo di Palermo, dalla Compagnia La Pirandelliana e dal Teatro Sannazaro di Napoli.
Una chiusura del cerchio per De Fusco, che dopo aver tanto studiato Pirandello, interpretandolo spesso proprio alla luce di quella teoria che Macchia formulò attorno al Così è (se vi pare) diretto da De Lullo, approda infine a questo testo, uno dei più compiuti sotto ogni punto di vista e quello in cui diventa più che mai chiaro il senso del teatro come processo.
Nel rispondere agli altri e nel dialogare tra loro, la signora Frola e il signor Ponza non hanno infatti più bisogno di fingere che il pubblico non esista: è anzi proprio al pubblico che parlano, ognuno difendendo se stesso e ognuno cercando di dimostrare i difetti e la pazzia dell’altro. È proprio questo processo di messa a nudo di se stessi e di racconto della propria vicenda la tortura di cui parla Macchia: una sofferenza atroce ma allo stesso tempo un bisogno ineludibile, l’unico modo per rivendicare la propria esistenza. Un bisogno che, oggi più che mai, siamo tutti in grado di comprendere e di fronte al quale ci riveliamo vulnerabili, anche attraverso l’ossessiva esigenza di condivisione che passa dalla socialità virtuale: Pirandello aveva già intuito che non raccontarsi è come non esistere e ne aveva presagito le conseguenze insieme a quelle della morbosa curiosità dello sguardo altrui.
Ecco perché De Fusco sceglie di bandire ogni elemento grottesco dalla rappresentazione, prediligendo una chiave interpretativa di ispirazione kafkiana, improntata all’incomprensibilità e al mistero, collocando i personaggi al centro di uno spazio angusto e oppressivo, che potrebbe essere il cortile di un manicomio o un insieme di palchi teatrali.
Il cast parte dal gruppo già protagonista dell’edizione dei Sei personaggi diretta da De Fusco, ripresa dalla Rai e acclamata in tutto il mondo, con Eros Pagni, Anita Bartolucci, Giacinto Palmarini, Lara Sansone, Paolo Serra, che qui si mescoleranno con gli attori spiccatamente pirandelliani dello stile siciliano.

MOBY DICK ALLA PROVA

inizio spettacoli ore 20.45 – domenica ore 16.30

dal 16 al 19 FEBBRAIO

di Orson Welles
adattato – prevalentemente in versi sciolti – dal romanzo di Herman Melville
traduzione Cristina Viti
uno spettacolo di Elio De Capitani
costumi Ferdinando Bruni
musiche dal vivo Mario Arcari, direzione del coro Francesca Breschi
maschere Marco Bonadei, luci Michele Ceglia, suono Gianfranco Turco
con Elio De Capitani
e Cristina Crippa, Angelo Di Genio, Marco Bonadei, Enzo Curcurù, Alessandro Lussiana, Massimo Somaglino, Michele Costabile, Giulia Viana, Vincenzo Zampa, Mario Arcari

produzione Teatro dell’Elfo, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale
Lo spettacolo è dedicato alla memoria di Gigi Dall’Aglio

Moby Dick alla prova, scritto (oltre che, a suo tempo, diretto e interpretato) da Orson Welles, è lo spettacolo a cui Elio De Capitani ha lavorato nel corso dell’inverno del 2020/21 e che è giunto al debutto l’11 gennaio ‘22 all’Elfo Puccini di Milano, ottenendo un notevolissimo successo.
«Il testo di Welles, inedito in Italia, è un esperimento molteplice, sottolinea il regista. Blank verse shakespeariano, una sintesi estrema del romanzo, personaggi bellissimi, restituiti in modo magistrale e parti cantate. Noi abbiamo realizzato questo spettacolo ‘totale’, con in più la gioia di una sfida finale impossibile: l’apparizione del capodoglio. E con un semplice trucco teatrale siamo riusciti a crearla in scena».
La produzione di questo spettacolo di dimensioni corali vede associati il Teatro dell’Elfo e il Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale.
In scena accanto a De Capitani (che interpreta Achab, padre Mapple, Lear e l’impresario teatrale) troviamo Cristina Crippa, Angelo Di Genio, Marco Bonadei, Enzo Curcurù, Alessandro Lussiana, Massimo Somaglino, Michele Costabile, Giulia Viana, Vincenzo Zampa. Il cast salda le eccellenze artistiche di tre generazioni di interpreti. La musica dal vivo di Mario Arcari e i canti diretti da Francesca Breschi (vibranti rielaborazioni degli sea shanties) riempiono intensamente la scena generando emozioni profonde, in uno spazio dominato da un fondale enorme, eppure leggero, cangiante e mutevole, capace di evocare l’immensità del mare e la presenza incombente del capodoglio.
Orson Welles portò al debutto il suo testo il 16 giugno 1955, al Duke of York’s Theatre di Londra. Lo mise in scena in un palco praticamente vuoto, scegliendo di non dare al pubblico né mare, né balene, né navi. Solo una compagnia di attori e sé stesso in quattro ruoli, Achab compreso. E vinse la sfida di portare in teatro l’oceanico romanzo di Melville gettando un ponte tra la tragedia di Re Lear e Moby Dick: l’ostinazione del re – che la vita, atroce maestra, infine redimerà – si rispecchia in quella irredimibile, fino all’ultimo istante, dell’oscuro e tormentato capitano del Pequod.
Splendidamente tradotto per l’Elfo dalla poetessa Cristina Viti, il copione di Welles restituisce con forza d’immagini la prosa del romanzo.

Dalle note di regia
Achab, come Kurtz in Cuore di tenebra, per devastare la natura, soggioga i suoi simili e ne fa strumento del suo odio, con estrema facilità: compito agevole, dopotutto… La mia unica ruota dentata sa mettere in moto i loro diversi meccanismi… ed eccoli tutti in moto…
Vitalismo rapace, prepotentemente – ma non esclusivamente – occidentale, che rappresenta quella parte d’umanità che ci porta al disastro, al gorgo mortale che inghiotte la Pequod. Siamo alla sesta estinzione di massa, siamo al riscaldamento globale, siamo sull’orlo del baratro e continuiamo a correre. Generando odiatori meno mitici ma altrettanto ferali di Achab.
Diciamolo: Moby-Dick parla di noi, oggi. Ne parla come solo l’arte sa fare. Cogliendo il respiro dei secoli – tra passato e futuro – nel respiro di ogni istante della nostra vita.
Elio De Capitani

PERFETTI SCONOSCIUTI

inizio spettacoli ore 20.45 – domenica ore 16.30

dal 2 al 5 MARZO

uno spettacolo di Paolo Genovese
con (in o.a.) Dino Abbrescia, Alice Bertini, Marco Bonini, Paolo Calabresi, Massimo De Lorenzo, Anna Ferzetti, Valeria Solarino

scene Luigi Ferrigno
costumi Grazia Materia
luci Fabrizio Lucci

produzione NUOVO TEATRO diretta da Marco Balsamo
in coproduzione con Fondazione Teatro della Toscana e Lotus Production

Paolo Genovese firma la sua prima regia teatrale portando in scena l’adattamento di PERFETTI SCONOSCIUTI.
Una brillante commedia sull’amicizia, sull’amore e sul tradimento, che porterà quattro coppie di amici a confrontarsi e a scoprire di essere “Perfetti sconosciuti”.
Ognuno di noi ha tre vite: una pubblica, una privata ed una segreta.
Un tempo quella segreta era ben protetta nell’archivio della nostra memoria, oggi nelle nostre sim.
Cosa succederebbe se quella minuscola schedina si mettesse a parlare?
Durante una cena tra amici decidono di fare un gioco della verità mettendo i loro cellulari sul tavolo e per la durata della cena messaggi e telefonate sono condivisi tra loro, mettendo a conoscenza l’un l’altro dei propri segreti più profondi…

SEAGULL DREAMS

I SOGNI DEL GABBIANO

inizio spettacoli ore 20.45 – domenica ore 16.30

dal 16 al 19 MARZO ESCLUSIVA REGIONALE

da Il Gabbiano e altri testi di Anton Čechov
adattamento, regia e video Irina Brook

traduzione e collaborazione artistica Alessandro Anglani
aiuto regia Valentina Enea

con Pamela Villoresi, Geoffrey Carey
e con Giuseppe Bongiorno, Emanuele Del Castillo, Monica Granatelli, Giorgia Indelicato, Giuseppe Randazzo
e con la partecipazione in video di Miguel Gobbo Diaz

scene e costumi Irina Brook
luci Antonio Esposito

produzione Teatro Biondo Palermo
in collaborazione con Dream New World – Cie Irina Brook

La regista Irina Brook, figlia del maestro Peter Brook e dell’attrice Natasha Parry, esplora in questo spettacolo la propria biografia di figlia d’arte attraverso le parole di Anton Čechov. I temi e le atmosfere del teatro checoviano riaffiorano dal vissuto personale della regista, i cui genitori erano di origini lettoni-russe: la malinconia per un’epoca che tramonta e la tensione verso qualcosa che deve ancora nascere.
Seagull Dreams, uno spettacolo sull’essenza de Il gabbiano di Čechov, è una continuazione del progetto del Teatro Biondo “The House of Us”, che la regista inglese ha avviato a Palermo lo scorso anno. Lavorando con i giovani allievi della “Scuola di recitazione e professioni della scena”, Brook ha realizzato un suggestivo percorso performativo nelle sale espositive di Palazzo Sant’Elia, sovrapponendo il ricordo della madre e il proprio controverso rapporto con la recitazione e il teatro. Alcuni brani del repertorio checoviano si intersecavano con pagine autobiografiche e con una riflessione sulle relazioni interpersonali nell’epoca in cui la pandemia ci ha costretti all’isolamento forzato. Con l’aiuto dei giovani allievi del Biondo, Irina Brook ha iniziato a tracciare una mappa ideale del teatro prossimo venturo.
Con Seagull Dreams, la regista porta avanti la sua intensa ed emozionate riflessione sul teatro, inteso come laboratorio dei sentimenti e della vita, per indicare una possibile direzione alle nuove generazioni.

DIPTYCH

The missing door and The lost room

inizio spettacoli ore 20.45

22 e 23 MARZO ESCLUSIVA REGIONALE

ideazione e regia Gabriela Carrizo e Franck Chartier
produzione Peeping Tom

L’allestimento scenico di Diptych è un autentico set da film, smontabile e rimodulabile. Cinematografici, d’altronde, sono tutti gli allestimenti dei coreografi Gabriela Carrizo e Franck Chartier dei belgi Peeping Tom.
Uno spettacolo perturbante, denso di humour nero, che ritrae un gruppo di personaggi inquieti e inquietanti.
Tra le più visionarie e stimolanti compagnie della scena europea, Peeping Tom usa un inconfondibile linguaggio, un geniale mix drammaturgico di teatro, danza, canto, movimento, complice l’accuratezza delle scenografie, dove confluiscono e deflagrano le relazioni umane, e in esse tempo e spazio, immaginazione, realtà e subconscio.

Peeping Tom riunisce un gruppo eterogeneo di danzatori, coreografi, tecnici e designer provenienti da oltre 16 nazioni. Dalla fondazione nel 2000 a oggi, ha portato in scena le sue creazioni in tutto il mondo e ottenuto prestigiosi riconoscimenti.

ideazione e regia Gabriela Carrizo e Franck Chartier
performance Konan Dayot, Fons Dhossche, Lauren Langlois, Panos Malactos, Alejandro Moya, Fanny Sage, Eliana Stragapede, Wan-Lun Yu
assistenza artistica Thomas Michaux
drammaturgia sonora Raphaëlle Latini
composizione e arrangiamento del suono Raphaëlle Latini, Ismaël Colombani, Annalena Fröhlich, Louis-Clément Da Costa, Eurudike De Beul
disegno luci Tom Visser
scenografia Gabriela Carrizo, Justine Bougerol
costumi Seoljin Kim, Yichun Liu, Louis-Clément Da Costa
costumi Sara van Meer, Lulu Tikovsky, Wu Bingyan (stagista)
coordinamento tecnico Giuliana Rienzi
tecnici Bram Geldhof/Ilias Johri (luci), Tim Thielemans/Jonas Castelijns (suono)
direzione di scena Thomas Dobruszkes (direttore di scena), Clement Michaux (assistente di scena)
tour manager Amaury Vanderborght
responsabile di produzione Helena Casas
responsabile della comunicazione Sébastien Parizel
responsabile della compagnia Veerle Mans

basato su Adrift, creato con i danzatori del NDT I: Chloe Albaret, Lydia Bustinduy, César Faria Fernandes, Fernando Hernando Magadan/Spencer Dickhaus, Anna Hermann, Anne Jung, Marne Van Opstal, Roger van der Poel, Meng-keWu, Ema Yuasa/Rena Narumi, con l’assistenza artistica di Louis-Clément Da Costa, Seoljin Kim e Yi-Chun Liu

Peeping Tom
Coproduzione Opéra National de Paris, Opéra de Lille, Tanz Köln, Göteborg Dance and Theatre Festival, Théâtre National Wallonie-Bruxelles, deSingel Antwerp, GREC Festival de Barcelona, Festival Aperto / Fondazione I Teatri (Reggio Emilia), Torinodanza Festival / Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale (Torino), Dampfzentrale Bern, Oriente Occidente Dance Festival (Rovereto)
Con il sostegno delle autorità fiamminghe
Distribuzione Frans Brood Productions
Dyptich The missing door and the lost room è stato realizzato con il sostegno del Tax Shelter del governo federale belga

LA BUONA NOVELLA

inizio spettacoli ore 20.45 – domenica ore 16.30

DAL 13 al 16 APRILE PRIMA NAZIONALE

di Fabrizio De André

drammaturgia e regia Giorgio Gallione
arrangiamenti e direzione musicale Paolo Silvestri

con Neri Marcorè, Rosanna Naddeo

voce e chitarra Giua
voce, chitarra e percussioni Barbara Casini
violino e voce Anais Drago
pianoforte Francesco Negri
voce e fisarmonica Alessandra Abbondanza  

scene Marcello Chiarenza
costumi Francesca Marsella
luci Aldo Mantovani

produzione Teatro Stabile di Bolzano, Centro d’Arte Contemporanea Teatro Carcano – Milano, Teatro della Toscana, Marche Teatro

Neri Marcorè torna a confrontarsi con Fabrizio De Andrè in un nuovo spettacolo di teatro canzone che fa rivivere sul palcoscenico “La buona novella”, album pubblicato dall’autore nel 1970.

Dopo il successo di Quello che non ho, Marcorè e il drammaturgo e regista Giorgio Gallione rinnovano il loro sodalizio artistico nel nome del grande cantautore genovese portando in scena il suo primo concept album. Di taglio esplicitamente teatrale, “La buona novella” è costruita quasi nella forma di un’opera da camera con partitura e testo composti per dar voce a molti personaggi: Maria, Giuseppe, Tito il ladrone, il coro delle madri, un falegname, il popolo. Ed è proprio da questa base che prende le mosse la versione teatrale.

«Questo spettacolo è pensato come una sorta di Sacra Rappresentazione contemporanea che alterna e intreccia le canzoni di de André con i brani narrativi tratti dai Vangeli apocrifi cui lo stesso autore si è ispirato: dal protovangelo di Giacomo al Vangelo dell’Infanzia Armento a frammenti dello Pseudo-Matteo. Prosa e musica sono montati in una partitura coerente al percorso tracciato dall’autore nel disco. I brani parlati, come in un racconto arcaico, sottolineano la forza evocativa e il valore delle canzoni originali, svelandone la fonte mitica e letteraria» scrive Gallione.

La valenza “rivoluzionaria” della riscrittura di De André sta nella decisione di un laico di affrontare un tema così anomalo per qui tempi».

«Compito di un artista credo sia quello di commentare gli avvenimenti del suo tempo usando però gli strumenti dell’arte: l’allegoria, la metafora, il paragone». Questa dichiarazione di De André è emblematica di come l’autore si sia posto, in tempi di piena rivolta studentesca, nei confronti di un tema così delicato e dibattuto dal punto di vista politico e spirituale.

La drammaturgia aggiunta da Gallione, recitata in gran parte da Marcorè, racconta l’antefatto de L’infanzia di Maria, svelandone la nascita ‘miracolosa’ e riempie il vuoto che va dall’infanzia del Cristo alla Crocifissione. «Un’elaborazione drammaturgica che in qualche modo completa il racconto di De André, trasformando “La buona novella” non solo in un concerto, ma in uno spettacolo originale, recitato, agito e cantato da una compagnia di attori, cantanti e musicisti che pensano l’opera di De André come un ricchissimo patrimonio che può comunque ben resistere, come ogni capolavoro, anche all’assenza dell’impareggiabile interpretazione del suo creatore» afferma l’autore e il regista di questo nuovo spettacolo.

(…) Perché riproporre La buona novella? Perché, per i tempi in cui è stata scritta, si è trattato di un discorso, a parer mio rivoluzionario. E questo per due motivi: ho preso spunto dagli Evangelisti Apocrifi armeni, arabi, bizantini, comunque uomini, scrittori non appartenenti alla confessione di Cristo, insomma non il suo ufficio stampa. Ne è derivata una desacralizzazione dei personaggi del Vangelo, a vantaggio, credo, di una loro maggiore umanizzazione. Ma quando scrissi La buona novella (1970) eravamo in piena rivolta studentesca e ai meno attenti, vale a dire la maggioranza dei fruitori di musica popolare, il disco apparve come anacronistico. Ma cosa andava predicando Gesù di Nazareth se non l’abolizione delle classi sociali, dell’autoritarismo, in nome di un egalitarismo e di una fratellanza universali? È un po’ come se io mi fossi rivolto ai miei coetanei che si battevano contro smisurati abusi di potere e di autorità e avessi detto loro: Guardate che lo stesso tipo di lotta l’ha già sostenuta un grande rivoluzionario 1969 anni fa e tutti sappiamo come è andata a finire.
Perché, a parer mio (di allora come di oggi) la lotta contro l’autorità, il potere e i suoi abusi, va combattuta ogni giorno individualmente: certo, ci sono momenti e casi eccezionali in cui è meglio lottare insieme, ma questo insieme deve essere una somma di individualità, non un branco di pecore che lotta in dome di un’ideologia astratta e che si ponga come obiettivo quello di rimpiazzare attraverso l’imposizione dei suoi dogmi lo stesso potere contro cui lotta, nella logica di “leva il culo tu che ce lo metto io”.
Ora compito di un artista credo sia anche quello di commentare gli avvenimenti del suo tempo usando però gli strumenti dell’arte: l’allegoria, la metafora, il paragone. Io osservando la lotta studentesca e le sue istanze, quelle giuste e sensate, ho parlato di un’altra lotta sostenuta da un uomo 2000 anni prima che aveva obiettivi analoghi.
(…) il culmine etico della Buona novella sta nel Testamento di Tito. Il ladrone buono confuta, uno per uno, tutti e dieci i comandamenti mettendo in evidenza la contraddizione tra le leggi emanate dalle classi al potere per proprio comodo, e le difficoltà di attenervisi da parte di chi il potere lo deve solo subire, e osserva quelle leggi, quando le osserva, solo per scongiurare la minaccio della repressione. La buona novella, a parere mio fu allora un album, un discorso assolutamente moderno e per certi aspetti lo è ancora oggi.
Fabrizio De André
La Repubblica – 14 marzo 1999


Il progetto teatrale su La Buona Novella è pensato come una sorta di Sacra Rappresentazione contemporanea che alterna e intreccia le canzoni di Fabrizio de André con i brani narrativi tratti dai Vangeli apocrifi cui lo stesso autore si è ispirato: dal protovangelo di Giacomo al Vangelo dell’Infanzia Armento a frammenti dello Pseudo-Matteo.
Prosa e musica, perciò, montati in una partitura coerente al percorso tracciato dall’autore nel disco del 1970. I brani parlati, come in un racconto arcaico, sottolineano la forza evocativa e il valore delle canzoni originali, svelandone la fonte mitica e letteraria.
Di taglio esplicitamente teatrale, costruita quasi nella forma di un’Opera da camera La buona novella è il primo concept-album dell’autore, con partitura e testo composti per dar voce a molti personaggi: Maria, Giuseppe, Tito il ladrone, il coro delle madri, un falegname, il popolo. Ed è proprio da questa base che prende le mosse la versione teatrale.
“Compito di un artista credo sia quello di commentare gli avvenimenti del suo tempo usando però gli strumenti dell’arte: l’allegoria, la metafora, il paragone”. Questa dichiarazione di De André è emblematica di come l’autore si sia posto, in tempi di piena rivolta studentesca, nei confronti di un tema così delicato e dibattuto dal punto di vista politico e spirituale.
Con La buona novella De André lavora certo a un’umanizzazione dei personaggi, ma questa traduzione cantata dai temi degli Apocrifi è fatta con grande rispetto etico e religioso. La valenza “rivoluzionaria” della riscrittura sta più nella decisione di un laico di affrontare un tema così anomalo per qui tempi che nei contenuti o nel taglio ideologico. Solo a tratti nel racconto appare l’attualizzazione; più spesso le ricche e variegate suggestioni immaginifiche, fantastiche e simboliche degli Apocrifi sono ricondotte a una purezza quasi canonica, e talvolta traspare la sensazione che esista, anche per l’autore, la sconvolgente possibilità che in Gesù umanità e divinità abbiano convissuto.
Traspare così un percorso parallelo nella interpretazione di De André, da una parte una innata tendenza a mettere in discussione tutto ciò che appare codificato, dogmatico o tradizionale, dall’altro una sensibilità che gli fa preferire tra le molte versioni degli Apocrifi sempre la scelta più nobile, matura e ricca umanamente, alla ricerca di un racconto forse meno sacro, ma sempre profondamente morale.

La drammaturgia aggiunta, recitata in gran parte da Neri Marcorè racconta l’antefatto de L’infanzia di Maria, svelandone la nascita ‘miracolosa’, e riempie il vuoto che va dall’infanzia del Cristo alla Crocifissione. Così 30 anni di vita di Gesù sono sintetizzati in un lungo racconto che ci svela un Cristo bambino anche stizzoso, impulsivo, che si serve dei suoi poteri talvolta per esibizionismo, sia quando accusato resuscita, per poi fa tornar morto, un bimbo caduto da una terrazza per farlo testimoniare a sua discolpa, sia quando in un passo di grande qualità poetica, guida i suoi compagni di gioco in una visionaria cavalcata sui raggi del Sole.
Un’elaborazione drammaturgica, perciò, che in qualche modo completa il racconto di De André, trasformando La buona novella non solo in un concerto, ma in uno spettacolo originale, recitato, agito e cantato da una compagnia di attori, cantanti e musicisti che penseranno l’opera di De André come un ricchissimo patrimonio che può comunque ben resistere, come ogni capolavoro, anche all’assenza dell’impareggiabile interpretazione del suo creatore.

Dalle note di Giorgio Gallione:
Con Neri Marcorè abbiamo scandagliato per anni il teatro canzone di Gaber, e già ci confrontammo con i materiali di Faber in un altro spettacolo, “Quello che non ho”, che intrecciava i pensieri e le canzoni di De André con gli scritti di Pasolini. Arrivare a “La Buona Novella” ci sembrava inevitabile. Qui ci appoggiamo inoltre ad un nuovo, efficacissimo arrangiamento di Paolo Silvestri, talentato, perenne compagno di avventure, e ad un ensemble di cantanti fortemente virato al femminile. Come a dire che “La Buona Novella” tratta certo della Passione di Cristo (per De André il più grande rivoluzionario di tutti i tempi), ma la racconta anche e sorprendentemente dalla parte di Maria, madre bambina inconsapevole e prescelta prima, straziata e piangente mater dolorosa poi. Quando Fabrizio la fa quasi imprecare sotto la croce “non fossi stato figlio di Dio, ti avrei ancora per figlio mio”, esplode tutta la tragicità del suo personaggio, amplificata e resa esplicita quando è cantata da una voce femminile e non solo evocata da un narratore. La teatralità, molto vicina ad una Sacra Rappresentazione arcaica e laica, l’abbiamo ricercata anche nell’impianto scenico, magicamente suggestivo, creato da Marcello Chiarenza. Una sorta di installazione mobile che rimanda simbolicamente a luoghi e sentimenti, reinterpretandoli poeticamente quasi in forma allegorica.

Note agli arrangiamenti
L’idea più importante per la realizzazione degli arrangiamenti musicali di questa nostra versione de “La Buona Novella” di De André è stata la scelta della formazione, tenendo presente che si tratta di uno spettacolo teatrale e non di un disco. Neri Marcorè ha una voce che si muove su una tessitura molto simile a quella di De André, al quale assomiglia timbricamente. Quindi in molti casi le tonalità utilizzate rispecchiano quelle originali. Ma in scena ci sono anche cinque donne che cantano, e volutamente non è un coro di voci omogenee. Ognuna di loro ha caratteristiche vocali e culturali diverse. Rosanna Naddeo è la protagonista femminile ed è un’attrice che canta, Giua è una cantautrice che si accompagna con la chitarra e le percussioni, Barbara Casini è una cantante specializzata nella musica brasiliana, percussionista e chitarrista, Alessandra Abbondanza è una cantante jazz e soul che suona la fisarmonica e il basso, e Anais Drago è una violinista virtuosa con un’impostazione sia classica che jazz e inoltre canta. E questo quintetto femminile così particolare è accompagnato da Francesco Negri che è un pianista jazz, ma con spiccati interessi verso altri generi musicali. A ciascuno di loro però viene chiesto di fare una musica diversa da quella che fa abitualmente e le varie caratteristiche diventano solo dei colori musicali che si incontrano e si fondono. E questo assieme un po’ inusuale è l’identità musicale dello spettacolo. Sulle mie partiture non ci sono i nomi degli strumenti, ma i nomi delle persone, con parti scritte appositamente per le specifiche qualità vocali e strumentali. Pur rispettando le versioni originali ogni canzone ha subito delle modifiche ritmiche, o armoniche senza mai cambiare la melodia, e la centralità degli arrangiamenti è quasi sempre il coro femminile presente in ogni brano. La caratteristica del violino è il continuo trasformismo. A volte è classico, virtuosistico o lirico, a volte popolare o addirittura etnico, altre modernissimo con l’ausilio di effetti elettronici. Il pianoforte sostituisce spesso ciò che nell’originale è la chitarra, ma con una funzione più orchestrale specialmente nei brani d’assieme, in qualche caso in maniera simile ad un’opera lirica, e in altri invece come in uno spettacolo di strada.
Paolo Silvestri

Note di Neri Marcorè:
Quando avevo più o meno 13 anni, una mia zia molto appassionata di De André mi regalò il vinile de “La Buona Novella”. Confesso che dopo averlo ascoltato un paio di volte finì nelle retrovie perché a quel tempo non fui conquistato né dalla musica né dai testi che componevano quello che può essere considerato uno dei primi, se non addirittura il primo, concept album della discografia italiana. Forse non era l’approccio più indicato, soprattutto a quell’età, per iniziare a scalare metaforicamente quella montagna che Faber, come lo chiamava il suo amico Villaggio, rappresenta ancora oggi. Tempo dopo cominciai ad apprezzare le sue canzoni grazie al doppio live suonato con la Pfm (al primo ascolto di un pezzo mi colpisce sempre più l’arrangiamento musicale, tra armonia e melodia; solo in un secondo momento pongo attenzione al testo) e da lì mi venne naturale esplorare la sua produzione fino ad allora e continuare a seguirlo nei dischi successivi, appassionandomi al suo sguardo originale sul mondo, alla cura delle parole, a quella voce profonda al cui registro, col passare degli anni, ho finito curiosamente per aderire. Al punto che circa dieci anni fa ho cominciato a eseguire parte del suo repertorio in concerti dal vivo, con la difficoltà di dover limitare la scaletta a una ventina di pezzi. Con Giorgio Gallione, il regista al quale sono legato da una collaborazione ormai ventennale, dopo aver messo in scena Gaber e molti altri autori, decidemmo di intrecciare le canzoni, le riflessioni di De André con le invettive e il pensiero di Pasolini, nello spettacolo Quello che non ho. L’impatto fu folgorante, tant’è che il cerchio immaginario non poteva che essere chiuso con una rappresentazione su De André o, per meglio dire, attraverso De André.
“La Buona Novella” infatti è un’opera polifonica che mediante metafora e allegoria parla dell’arroganza del potere, il quale mal digerisce gli uomini troppo liberi di pensiero, intralcio per l’esercizio del potere stesso, sia esso famigliare, religioso o politico. La spiritualità, intrinseca nel momento in cui si parla di Gesù e della Madonna, è però qui contemplata nella sua dimensione terrena, laddove “il più grande rivoluzionario della Storia” resta prima di tutto un uomo, con una fisicità che non lo rende diverso dai suoi simili. Eppure, nonostante i suoi limiti, ogni essere umano può compiere imprese straordinarie e dar vita a nuovi corsi ogni volta che non si pone al primo posto ma si mette al servizio di un bene superiore, collettivo.
Neri Marcorè

L’ANGELO DELLA STORIA

inizio spettacoli ore 20.45

29 APRILE Teatro Sperimentale

creazione Sotterraneo
ideazione e regia Sara Bonaventura, Claudio Cirri, Daniele Villa
in scena Sara Bonaventura, Claudio Cirri, Lorenza Guerrini, Daniele Pennati, Giulio Santolini
scrittura Daniele Villa
luci Marco Santambrogio
costumi Ettore Lombardi
suoni Simone Arganini
montaggio danze Giulio Santolini

Sotterraneo
coproduzione MARCHE TEATRO, ATP Teatri di Pistoia Centro di Produzione Teatrale, CSS Teatro stabile di innovazione del FVG, Teatro Nacional D. Maria II
contributo Centrale Fies, La Corte Ospitale, Armunia
col supporto di Mic, Regione Toscana, Fondazione CR Firenze residenze artistiche Centrale Fies_art work space, Centro di Residenza Emilia-Romagna/La Corte Ospitale, Dialoghi – Residenze delle arti performative a Villa Manin, Armunia, Elsinor/Teatro Cantiere Florida, ATP Teatri di Pistoia
Sotterraneo fa parte del progetto Fies Factory, è Artista Associato al Piccolo Teatro di Milano ed è residente presso l’ATP Teatri di Pistoia

PREMIO UBU 2022 COME MIGLIOR SPETTACOLO

“Non è che il passato getti la sua luce sul presente o il presente la sua luce sul passato: l’immagine è ciò in cui quel che è stato si unisce fulmineamente con l’adesso in una costellazione”
Walter Benjamin

Nel suo ultimo lavoro il filosofo Walter Benjamin descrive un angelo che vola con lo sguardo rivolto al passato, dando le spalle al futuro: le macerie di edifici e ideologie si accumulano davanti ai suoi occhi [strumenti musicali in fondo all’oceano, radar malfunzionanti, balene spiaggiate] e l’angelo vorrebbe fermarsi a ricomporre i detriti [neonati morti, statue in Antartide, conigli fluorescenti], ma una tempesta gonfia le sue ali e lo trascina inesorabilmente in avanti [danze isteriche di massa, paracaduti inceppati, gatti milionari]: questa tempesta è ciò che chiamiamo progresso. Per quanto l’angelo osservi il susseguirsi degli eventi [mani sui tasti di un pianoforte, funghi atomici, cartoline nella giungla] e cerchi di resistere alla tempesta, non può fermarsi e intervenire, non può rincollare i pezzi e rifondare una realtà condivisa, non può fare assolutamente nulla per aiutarci – se non altro perché gli angeli non esistono [cocktail al cianuro, numeri irrazionali, racconti intorno al fuoco]. Quale altro essere senziente potrebbe provare a ricomporre l’infranto, smontare le narrazioni e – volando o meno – finalmente girarsi per proiettare lo sguardo in avanti?