STAGIONE DI ANCONA

AL TEATRO SPERIMENTALE
LO SPETTACOLO TRATTO DAL GABBIANO DI CECHOV
“COME LA MARMELLATA CHE NON MANGIO MAI”
PORTATO IN SCENA
DAGLI INTERPRETI DELL’ACCADEMIA NAZIONALE D’ARTE DRAMMATICA “SILVIO D’AMICO”
DIRETTI DA LIV FERRACCHIATI

Sabato 10 dicembre alle ore 20.45 al Teatro Sperimentale di Ancona va in scena fuori abbonamento Come la marmellata che non mangio mai diretto da Liv Ferracchiati con gli interpreti dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico.

Mettere in scena il Gabbiano ripetendo le scene, incastrandole, moltiplicando i personaggi, ha più a che fare con lo scardinare una gerarchia che con vaghi dolori borghesi. Annientare il giusto modo di esistere, in scena, come nella vita, riporta alla responsabilità di una libera scelta, di capire, alla fine, poi che farne, di tutta questa libertà.

Il Gabbiano: a partire dal titolo, un problema di rappresentazione. Čajka, in russo, è femminile, associato direttamente al personaggio Nina. In italiano, un’intraducibile gabbiana.

Un chiarimento di traduzione ci avrebbe forse salvato da lunghe speculazioni su chi o cosa fosse questo gabbiano: forse una gabbiana, sicuramente un testo che porta tutti i personaggi in scena a dialogare perennemente sul rappresentarsi, nella vita come nell’arte – che a pensarci bene, poi, trovare una propria modalità di espressione artistica significa trovare un modo di raccontarci, un modo per comunicare e un modo per essere. In questo momento storico la rappresentazione di sé è un atto pubblico più che introspettivo.

Lavorare sul Gabbiano necessita il sapere qual è, se c’è, il motivo necessario per cui scegliamo di andare in scena, prendendoci uno spazio per indagare l’espressione di noi come presa di posizione non solo identitaria ma anche artistica e politica. L’arte è area semantica di fallimento. La rappresentazione è, di sua natura, fallimentare. Ci viene da chiederci che cosa ci porta, nonostante la precarietà economica, la difficoltà di un riconoscimento e il mancato ricambio generazionale, a scegliere di inseguire un’idea che sarà, comunque, sempre inesatta. La croce di cui parla Nina è sempre presente.

Un testo come Čajka rimane urgente da affrontare oggi per la possibilità che ha di lasciare spazio alla carica sovversiva dell’esporsi, con tutte le sue conseguenze, alla possibilità di scardinare l’immaginario fisso del ruolo in quanto tale e far vivere una pluralità di possibili rappresentazioni, tutte legittime, senza il veto di una visione univoca decisa dall’alto. Esserci in una molteplicità dichiarata come atto di protesta verso il sistema totalitarista dell’univoco.

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