IL SECONDO FIGLIO DI DIO

VENERDÌ 15 DICEMBRE 2017_ORE 21.00 – Maiolati Spontini, Teatro G. Spontini

di Manfredi Rutelli_Simone Cristicchi
con SIMONE CRISTICCHI
regia  Antonio Calenda
musiche originali Simone Cristicchi_Valter Sivilotti
con le voci registrate del Coro Ensemble Magnificat di Caravaggio
preparato da Massimo Grechi
diretto da Valter Sivilotti
disegno luci Cesare Agoni
scene e costumi Domenico Franchi
assistente scenografo Michela Andreis
sarto Federico Ghidelli
elaborazione video Andrea Cocchi
sonorizzazioni Gabriele Ortenzi
progetto audio Andrea Balducci
datore luci Angelo Generali
ufficio comunicazione CTB Sabrina Oriani
ufficio comunicazione Promo Music Alessandra Carbonaro

produzione CTB Centro Teatrale Bresciano/ Promo Music
con la collaborazione di Mittelfest 2016_Dueffel Music
un ringraziamento Andrea Anselmini

Ogni sogno ha una voce precisa, e sta dentro ognuno di noi.
Solo i matti, i poeti, i rivoluzionari, non smettono mai di sentirla, quella voce.
E a forza di dargli retta, magari poi ci provano davvero a cambiarlo, il mondo.

In cima a una montagna, davanti a una folla adorante di 4 mila persone, un uomo si proclama reincarnazione di Gesù Cristo. È il luglio del 1878. L’inizio di una rivoluzione possibile, che avrebbe potuto cambiare il corso della Storia. Simone Cristicchi presenta “Il secondo figlio di Dio”, il suo nuovo spettacolo teatrale ispirato alla vicenda incredibile, ma realmente accaduta, di David Lazzaretti, detto il “Cristo dell’Amiata”.
Dopo il grande successo di “Magazzino 18” (200 repliche e decine di migliaia di spettatori), Simone Cristicchi, torna a stupire il pubblico con una storia poco frequentata, ma di grande fascino.
Ne”Il secondo figlio di Dio”, si racconta la grande avventura di un mistico, l’utopia di un visionario di fine ottocento, capace di unire fede e comunità, religione e giustizia sociale. Tra canzoni inedite e recitazione, il narratore protagonista ricostruisce la parabola di Lazzaretti, da barrocciaio a profeta, personaggio discusso, citato e studiato da Gramsci, Tolstoj, Pascoli, Lombroso e Padre Balducci; il suo sogno rivoluzionario per i tempi, culminato nella realizzazione della “Società delle Famiglie Cristiane”: una società più giusta, fondata sull’istruzione, la solidarietà e l’uguaglianza, in un proto-socialismo ispirato alle primitive comunità cristiane.
Il cant’attore Cristicchi racconta l’ ”ultimo eretico” Lazzaretti, e quel piccolo lembo di Toscana (Arcidosso e il Monte Amiata) che diventa lo scenario di una storia che mai uguale fu agitata sulla faccia della terra, ponendoci una domanda più grande, universale, che riguarda ognuno di noi: la “divinità” è un’umanità all’ennesima potenza?
Con l’ausilio di video-proiezioni e di una scenografia in continua mutazione, quella terra così aspra e bella, quella “terra matrigna e madre” diventa la co-protagonista, nel racconto della straordinaria vicenda di David Lazzaretti, il secondo figlio di Dio. Una storia che se non te la raccontano, non la sai. La storia di un’idea. La storia di un sogno.

UNA GIORNATA PARTICOLARE

GIOVEDÌ 11 GENNAIO 2018_ORE 21.00 – Maiolati Spontini, Teatro G. Spontini

di Ettore Scola_Ruggero Maccari
adattamento Gigliola Fantoni
con GIULIO SCARPATIVALERIA SOLARINO
regia Nora Venturini
con Paolo Giovannucci
e Anna Ferraioli_Matteo Cirillo_Paolo Minnielli_Federica Zacchia
scena Luigi Ferrigno
costumi Marianna Carbone
luci Raffaele Perin
video e suoni Marco Schiavoni

produzione Compagnia Gli Ipocriti

dedicato al Maestro Ettore Scola, grande regista e sceneggiatore

6 maggio del 1938, giorno della visita di Hitler a Roma. In un comprensorio popolare, Antonietta, moglie di un usciere e madre di sei figli, prepara la colazione, sveglia la famiglia, aiuta nei preparativi per la parata. Una volta sola, inavvertitamente, apre la gabbietta del merlo che va a posarsi sul davanzale di un appartamento difronte al suo. Bussa alla porta, ad aprirle è Gabriele, ex annunciatore dell’EIAR che sta preparando la valigia in attesa di andare al confino perché omosessuale. Antonietta, donna ignorante e plagiata dall’affascinante figura di Mussolini, rispecchia in pieno il ruolo di donna del “regime” dedita alla famiglia, succube del marito e “mezzo di produzione” per la macchina bellica. È rapita dal fascino discreto di Gabriele e, inconsapevolmente, tenta di conquistarlo mentre lui è costretto a confessare la sua omosessualità causa anche del suo licenziamento. Mentre la radio continua a trasmettere la radiocronaca dell’incontro tra Hitler e Mussolini, Antonietta e Gabriele si rispecchieranno l’una nell’altro condividendo la solitudine delle loro anime. Gabriele regala ad Antonietta un libro (I tre moschettieri) che rappresenta il simbolo di una speranza ovvero che le donne possano affrancarsi dalla loro condizione di “schiave” in cui erano state relegate dal regime fascista, attraverso la conoscenza e la cultura.

Abbiamo deciso di mettere in scena “Una giornata particolare”, superando timori e scrupoli verso il capolavoro cinematografico originale, perché a ben guardarla la sceneggiatura di Scola e Maccari nasconde una commedia perfetta. Un ambiente chiuso, due grandi protagonisti, due storie umane che si incontrano in uno spazio comune in cui sono “obbligati” a restare, prigionieri. Fuori il mondo, la Storia, di cui ci arriva l’eco dalla radio. Un grande evento che fa da sfondo a due piccole storie personali, in una giornata che sarà particolare per tutti: per Gabriele, per Antonietta, per la sua famiglia che si reca alla parata, per gli Italiani che festeggiano l’incontro tra Mussolini e Hitler, senza sapere quanto fatale sarà per i destini del Paese.
Unità di tempo, unità di luogo. E due personaggi che, grazie al loro incontro, cambiano, si trasformano sotto i nostri occhi, scoprono una parte nuova di sé stessi, modificano il loro sguardo sulla realtà che li circonda. Antonietta, asservita ai figli e al marito, grazie a Gabriele mette in discussione le sue certezze sul regime, inizia a dubitare sulle verità propagandate dal fascismo, acquista maggiore rispetto di sé stessa, assapora un modo diverso di stare con un uomo. Gabriele, omosessuale licenziato dalla Radio e in procinto di essere spedito al confino, costretto tutta la vita a fingere e a nascondersi, con Antonietta finalmente si sente libero, esce allo scoperto, per la prima volta si sente accettato, apprezzato e amato per quello che è. Ignorante e sottomessa lei, colto e raffinato lui, apparentemente diversissimi, si sentono, si annusano, si riconoscono. Sono due umiliati, due calpestati, sono due ultimi. Nel giorno del ballo, sono le due Cenerentole rimaste a casa. E la loro storia è la storia, purtroppo sempre attuale, di coloro che non hanno voce, spazio, rispetto, e sui destini dei quali cammina con passo marziale la Storia con la S maiuscola.
(Nora Venturini)

BUKUROSH, MIO NIPOTE

OVVERO IL RITORNO DEI SUOCERI ALBANESI

MARTEDÌ 30 GENNAIO 2018_ORE 21.00 – Maiolati Spontini, Teatro G. Spontini

di Gianni Clementi
con FRANCESCO PANNOFINO, EMANUELA ROSSI
adattamento teatrale Edoardo Erba
regia Claudio Boccaccini
con Andrea Lolli_Silvia Brogi_Maurizio Pepe_Filippo Laganà_Elisabetta Clementi

produzione VIOLA PRODUZIONI

Dopo lo straordinario successo de “I Suoceri Albanesi” con una tournèe di 200 repliche in tutta Italia, Francesco Pannofino ed Emanuela Rossi, tornano a raccontarsi in Bukurosh, mio nipote.
Lucio, consigliere comunale progressista; Ginevra, chef in carriera di cucina molecolare e la loro figlia diciasettenne Camilla; Corrado, Colonnello gay in pensione; Benedetta, titolare dell’erboristeria sotto casa; Igli, albanese, titolare di una piccola Ditta edile e Lushan, il suo giovane fratello, sono nuovamente gli “eroi” della nuova commedia di Gianni Clementi, autonoma, ma anche sequel ideale.
Lucio e Ginevra sono appena tornati dall’Albania, reduci insieme a Corrado e Benedetta dal matrimonio riparatore di Camilla con Lushan, di cui è rimasta incinta durante i lavori di ristrutturazione del bagno di casa. Ai dubbi per la scelta tanto azzardata della figlia si sommano le preoccupazioni per il suo futuro, l’annuncio delle imminenti elezioni comunali per Lucio, la notizia che il ristorante molecolare di Ginevra comincia ad accusare un notevole calo di clienti e il problema della imminente convivenza in casa con i novelli sposi. L’impegno di acquistare e ristrutturare, tramite la ditta di Igli, l’appartamento sullo stesso pianerottolo, anche se economicamente importante, si prospetta come un’occasione unica per preservare la vicinanza con la figlia ma anche l’intimità familiare. Ma l’arrivo improvviso e anticipato dal viaggio di nozze di una Camilla disperata e sola, non fa che rafforzare i loro dubbi sulla fragilità della loro figliola e soprattutto di quell’unione. Anche per gli amici di famiglia Corrado e Benedetta le novità non mancano…
Tutto sembra precipitare ulteriormente: purtroppo Lucio non viene eletto e da ex onorevole, per la prima volta in vita sua, scopre di non saper fare niente. Non ha un mestiere; lui che ha dedicato tutta la sua vita sempre e solo alla politica! Lucio e Ginevra cadono in una profonda depressione, ma paradossalmente le difficoltà del momento riavvicinano molto la coppia e, come recita il famoso detto spagnolo: “un bambino arriva sempre con il pane sotto il braccio”, la nascita di Bukurosh sembra sgombrare il cielo dalle nubi.
Un interno medio borghese, una famiglia che vede messa in pericolo la propria presunta stabilità ed è costretta a mettersi in gioco. Bukurosh, mio nipote vuole essere una divertita riflessione sulla nostra società, sui nostri pregiudizi, i nostri timori, le nostre contraddizioni, debolezze e piccolezze.

REGALO DI NATALE

VENERDÌ 2 FEBBRAIO 2018_ORE 21.00 – Jesi, Teatro G.B. Pergoleis

di Pupi Avati
adattamento teatrale di Sergio Pierattini
con GIGIO ALBERTIFILIPPO DINIGIOVANNI ESPOSITOVALERIO SANTOROGENNARO DI BIASE
regia Marcello Cotugno
scenografie Luigi Ferrigno
costumi Alessandro Lai
luci Pasquale Mari

produzione La Pirandelliana

Quattro amici di vecchia data, Lele, Ugo, Stefano e Franco, si ritrovano la notte di Natale per giocare una partita di poker. Con loro vi è anche il misterioso avvocato Sant’Elia, un ricco industriale contattato da Ugo per partecipare alla partita. Franco è proprietario di un importante cinema di Milano ed è il più ricco dei quattro, l’unico ad avere le risorse economiche per poter battere l’avvocato, il quale tra l’altro è noto nel giro per le sue ingenti perdite. Tra Franco e Ugo però, i rapporti sono tesi; la loro amicizia, infatti, è compromessa da anni, al punto tale che Franco, indispettito dalla presenza dell’ormai ex amico, quasi decide di tornarsene a casa. La sola prospettiva di vincere la somma necessaria alla ristrutturazione del cinema lo fa desistere dall’idea.
La partita si rivela ben presto tutt’altro che amichevole. Sul piatto, oltre a un bel po’ di soldi, c’è il bilancio della vita di ognuno: i fallimenti, le sconfitte, i tradimenti, le menzogne, gli inganni.
È uno tra i più bei film di Avati, lucido, amaro, avvincente.

Ethos andropo daimon (Il carattere di un uomo è il suo destino)
Eraclito

Nel suo saggio “I giochi e gli uomini”, il sociologo Roger Caillois suddivide i giochi in quattro categorie: agon o competizione, alea o caso, mimicry o maschera ilinx o vertigine. Il poker, secondo molti, si avvicina all’idea del gioco perfetto, poiché racchiude in sé tutte e quattro queste anime. «Nulla come il gioco del poker vi rivela – sostengono il filosofo Rovatti e il sociologo Dal Lago – la persona morale di chi vi sta di fronte (e la vostra a loro)». Il poker è anche un nobilissimo gioco tra gentiluomini, un rito moderno in cui mostrarsi per quello che non si è, proprio come in una rappresentazione teatrale: quanto più la maschera è forte e impenetrabile, tanto più sarà difficile comprendere i nostri punti.
Ci troviamo in una villa, la notte di Natale. Quattro amici, Franco, Ugo, Lele e Stefano, che non si vedono da dieci anni, incontrano quello che è designato ad essere il “pollo” da spennare: l’avvocato Sant’Elia, un uomo sulla sessantina, ricco e ingenuo, che sembra addirittura trovare consolazione nel perdere. In realtà è il presunto “pollo” a trovarsi di fronte quattro uomini che nella vita hanno giocato col destino e che, in un modo o nell’altro, hanno perso. Originariamente ambientato negli anni ‘80, il testo è stato trasposto nel 2008, anno in cui la crisi economica globale si è abbattuta sull’Europa segnando profondamente la società italiana. In risposta a recessione e precariato, il gioco d’azzardo vive una stagione di fulminante ascesa, e – dalle slot che affollano i bar e al boom del poker texano – si moltiplicano i luoghi e le modalità in cui viene praticato.
Cinque attori di grande livello, Gigio Alberti, Filippo Dini, Giovanni Esposito, Valerio Santoro e Gennaro Di Biase, si calano in una partita che probabilmente lascerà i loro personaggi tutti sconfitti, a dimostrazione di come alcuni valori fondamentali delle relazioni umane – amicizia, lealtà e consapevolezza di sé – stiano dolorosamente tramontando dal nostro orizzonte. D’altro canto, già Aristotele, tra i primi filosofi a riconoscere il valore dell’amicizia (“l’amicizia è una virtù indispensabile all’uomo: nessuno sceglierebbe di vivere senza amici”), metteva in guardia gli uomini nello scegliere bene i propri amici, poiché interessi materiali possono facilmente prendere il sopravvento sul sentimento. I soldi facili sono la chimera inseguita anche dai nostri protagonisti, in un crescendo di tensione che ci rivela mano dopo mano come, al tavolo verde, questi uomini si stiano giocando ben più di una manciata di fiches.
Con la sua stringente contemporaneità e la sua universalità fuori dal tempo, la parabola di “Regalo di Natale” è allora il trionfo del singolo sul collettivo, è la metafora del successo di uno conquistato a spese di tutti, è il simbolo di una teatralità doppia e meschina, è un’amara una riflessione su come stiamo diventando. O su come forse siamo già diventati.
Se il poker è lo specchio della vita, il teatro è il luogo dove attori e spettatori si possono rispecchiare gli uni negli altri. E due specchi messi uno di fronte all’altro generano immagini. Infinite.
(Marcello Cotugno)

QUELLO CHE NON HO

Spettacolo posticipato a GIOVEDÌ 22 MARZO 2018_ORE 21.00 – Maiolati Spontini, Teatro G. Spontini

con NERI MARCORÈ
drammaturgia e regia Giorgio Gallione
canzoni di Fabrizio De Andrè scritte con Massimo Bubola, Francesco De Gregori, Ivano Fossati, Mauro Pagani
voci e chitarre GiuaPietro GuarracinoVieri Sturlini
arrangiamenti musicali  Paolo Silvestri
scene e costumi Guido Fiorato
luci Aldo Mantovani

produzione Teatro dell’Archivolto

si ringrazia Fondazione Fabrizio De André

“Quello che non ho” è un affresco teatrale che, utilizzando la forma del teatro canzone, cerca di interrogarsi sulla nostra epoca, in precario equilibrio tra ansia del presente e speranza del futuro. Ispirazione principale di questo percorso sono le canzoni di De Andrè (in particolare del concept album “Le nuvole”) e le visioni lucide e beffarde di Pier Paolo Pasolini, apocalittiche, visionarie profezie (contenute nel poema filmico “La rabbia”) che raccontano di una “nuova orrenda preistoria”, che sta minando politicamente ed eticamente la società contemporanea. Ci si è serviti per questo di storie emblematiche, quasi parabole del presente, che raccontano (anche in forma satirica) nuove utopie, inciampi grotteschi e civile indignazione. Storie di sfruttamento dell’uomo e dell’ambiente, di esclusione, di ribellione, di guerra, di illegalità, rileggendole col filtro grottesco, ghignante e aristofanesco, che De Andrè ha utilizzato ne “Le nuvole”.
Come può un artista, un intellettuale, raccontare a chi non l’ha vissuto cosa è stato il nostro tempo? Una volta chiesero a un direttore d’orchestra, Furtwangler: “Quanto dura il concerto di Mozart che lei dirigerà stasera?” E il direttore rispose: “Per lei dura quarantadue minuti… per chi ama la musica dura da 300 anni!
Stiamo producendo orrori e miserie, ma anche un tempo fatto di opere meravigliose, quadri, musica, libri, parole. Eredità e testimonianza della civiltà umana sono le frasi di Leonardo “seguiamo la fantasia esatta”, di Mozart “siamo allievi del mondo”, di Rameau “trovo sacro il disordine che è in me”, di Monet “voglio un colore che tutti li contenga”, di Fabrizio De Andrè “vado alla ricerca di una goccia di splendore”, fino alle utopiche provocazioni di Pasolini “è venuta ormai l’ora di trasformarsi in contestazione vivente”.
Così viaggiando “in direzione ostinata e contraria” si favoleggia del Sesto continente, un’enorme Atlantide di rifiuti di plastica (grande 2 volte e mezzo l’Italia) che galleggia al largo delle Hawaii; di evoluti roditori, nuovi padroni del mondo, che inaugurano il regno di Emmenthal (…dopo Neanderthal); di surreali, realissime interrogazioni parlamentari che lamentano la scomparsa di Clarabella(?!) dai gadget dell’acqua minerale; di guerre civili causate dal coltan, minerale indispensabile per far funzionare telefonini e playstation, di economia in “decrescita felice” che propone la pizza da un euro (una normale margherita, grande però come un euro…), costruendo così un mosaico variegato di storie (anche in forma di canzone) che si muove tra satira, racconto e suggestione poetica.
Nelle ultime stagioni Neri Marcorè ha molto frequentato il teatro musicale, esplorando tra l’altro Gaber e i Beatles e costruendo spettacoli che guardano sia al teatro civile che alla bizzarra giocosità del surreale. Con “Quello che non ho” siamo di fronte a un anomalo, reinventato esempio di teatro canzone (sostenuto e arricchito in scena da tre chitarristi/cantanti dal talento virtuosistico) che, ispirandosi a due giganti del nostro recente passato (De Andrè e Pasolini) prova a costruire una visione personale dell’oggi. Un tempo nuovo e in parte inesplorato in cerca di idee e ideali.

QUI E ORA

GIOVEDÌ 1 MARZO 2018_ORE 21.00 – Jesi, Teatro G.B. Pergolesi

scritto e diretto da Mattia Torre
con PAOLO CALABRESIVALERIO APREA
disegno luci Luca Barbati
assistente alla regia AnnaGaia Marchioro
costumi Antonella D’Orsi
scene Beatrice Scarpato
suono Cristiano Paliotto

produzione Nuovo Teatro

Un incidente appena avvenuto in una strada secondaria di un’isolata periferia romana, vicina al grande raccordo anulare, completamente deserta, senza passanti né case, nei campi, nel nulla. Due scooter di grossa cilindrata subito dopo l’impatto, il primo ribaltato, idealmente conficcato a terra, il secondo irriconoscibile, un disastro di lamiere ancora fumanti. Un incidente importante. A terra, a pochi metri l’uno dall’altro, due uomini sulla quarantina; il primo immobile, potrebbe essere morto, l’altro piano muove un piede, a fatica si alza. E anche il primo apre gli occhi. Avrebbero bisogno di aiuto ma non lo avranno, avrebbero bisogno di cure ma i soccorsi non arriveranno prima di un’ora e mezza. Intorno a loro, per loro, niente e nessuno.
In un Paese dove se fai un incidente con qualcuno, a parità di torto o ragione, quello è già un tuo nemico, “Qui e Ora” racconta lo scontro tra due individui sopravvissuti a un incidente in scooter, alla periferia estrema di una grande città, nella sfiduciata attesa dei soccorsi, che infatti non arrivano.
Nel loro scontro si esprime il cinismo e il senso di lotta dell’Italia di oggi, questo Paese sempre idealmente a un passo dalla guerra civile, in cui la cattiva amministrazione finisce per generare sfiducia non solo dei cittadini verso le istituzioni, ma anche tra cittadini e cittadini, in un clima sempre più teso e violento, che trova il suo apice nella grande città.
Nell’ora e dieci di attesa dei soccorsi, che è il tempo teatrale della vicenda, “Qui e Ora” racconta un ansiogeno e violento, comico duello metropolitano tra due uomini che hanno bisogno di cure e non le avranno, e che pur essendo entrambi vittime della ferocia dei nostri tempi, si riconoscono come nemici: il primo ha di sé l’immagine di un uomo straordinario, ma non lo è; l’altro saprebbe accontentarsi della propria ordinarietà, ma non lo farà.
Nell’attuale grande vuoto sociale, culturale e politico, tra le possibili derive c’è un senso di inadeguatezza che porta a perdersi (come nel caso di Claudio Aliotta, interpretato da Valerio Aprea) o il cinismo e la ferocia che portano al male (come per Aurelio Sampieri, interpretato da Paolo Calabresi).
Come nell’esperienza di Boris, ancora una volta grande merito della realizzazione del progetto va agli attori, qui non solo talentuosi interpreti di un atto unico molto performativo e senza paracadute, ma anche, in fondo, per il livello di condivisione, soci d’impresa; e ai produttori Marco Balsamo e Fabrizia Pompilio per la vitalità, l’energia e l’importanza del loro lavoro.
A dimostrazione che anche in un Paese complicato e in crisi come il nostro, il teatro può e deve, militando, lanciare grida disperate, esorcizzare fatti terribili, e lanciare taciti giocosi inviti alla concordia.
(Mattia Torre)

QUI E ORA

giovedì 1 marzo al Teatro G.B. Pergolesi di Jesi lo spettacolo QUI E ORA scritto e diretto da Mattia Torre, con Paolo Calabresi e Valerio Aprea. Dall'autore della serie di successo "La linea verticale"...QUI E ORA racconta lo scontro tra due individui sopravvissuti a un incidente in scooter, alla periferia estrema di una grande città, nella sfiduciata attesa dei soccorsi...cinismo puro amici!!! Qui e ora...l'invito direttamente dai due protagonisti...vi aspettiamo!biglietteria Teatro Pergolesi 0731 206888biglietteria Teatro delle Muse 071 52525scopri le promozioni scrivendo a: marketing@fpsjesi.com e info@marcheteatro.it 071 20784222

Pubblicato da Marche Teatro su venerdì 23 febbraio 2018

MISS MARPLE

GIOCHI DI PRESTIGIO

MARTEDÌ 13 MARZO 2018_ORE 21.00 – Jesi, Teatro G.B. Pergolesi

di Agatha Christie
adattamento teatrale di Edoardo Erba
con MARIA AMELIA MONTI
e con Roberto Citran, Sabrina ScuccimarraSebastiano BottariMarco Celli, Giulia De LucaStefano GuerrieriLaura Serena
scena Luigi Ferrigno
costumi Alessandro Lai
luci Cesare Accetta
musiche Francesco Forni
regia Pierpaolo Sepe

produzione Compagnia Gli Ipocriti

“Miss Marple”, la più famosa detective di Agatha Christie, sale per la prima volta su un palcoscenico in Italia.
E lo fa con la simpatia di Maria Amelia Monti, che dà vita a un personaggio contagioso, in un’interpretazione che creerà dipendenza. Con lei due attori di originale talento come Roberto Citran e Giulia Weber, e un gruppo di giovani dalla strabordante energia scenica.
Siamo alla fine degli anni ‘40, in una casa vittoriana della campagna inglese. Miss Marple è andata a trovare la sua vecchia amica Caroline, una filantropa che vive lì col terzo marito, Lewis, e vari figli e figliastri dei matrimoni precedenti. Di questa famiglia allargata, fa parte anche uno strano giovane, Edgard, che aiuta Lewis a dirigere le attività filantropiche. Il gruppo è attraversato da malumori e odi sotterranei, di cui Miss Marple si accorge ben presto. Durante un tranquillo dopocena, improvvisamente Edgard perde i nervi: pistola in pugno minaccia Lewis e lo costringe a entrare nel suo studio. Il delitto avviene sotto gli occhi terrorizzati di tutti. Ma le cose non sono come sembrano. Toccherà a “Miss Marple”, in attesa dell’arrivo della polizia, capire che ciò che è successo non è quello che tutti credono di aver visto. Il pubblico è stato distratto da qualcosa che ha permesso all’assassino di agire indisturbato. Come a teatro. Come in un Gioco di Prestigio.
Adattando il romanzo, Edoardo Erba riesce a creare una commedia contemporanea, che la regia di Pierpaolo Sepe valorizza con originalità, senza intaccare l’inconfondibile spirito di Agatha Christie.

20 DECIBEL

SABATO 24 MARZO 2018_ORE 21.00 – Maiolati Spontini, Teatro G. Spontini

di e con Giacomo Costantini, Fabiana Ruiz Diaz
regia Louis Spagna
adattamento luci Domenico de Vita

produzione Circo El Grito
co-prodotto da Espace Catastrophe, Mirabilia, Sosta Palmizi

Lo spettacolo ha debuttato nel 2010 alla Biennale Internazionale del Circo di Bruxelles che lo ha lanciato a livello internazionale. Ha ricevuto il sostegno da parte del Ministero della Cultura Belga ed è considerato un punto di riferimento per il circo contemporaneo in Italia. “20 Decibel” è un’ esplosione di fantasia e libertà, provocazione e bellezza. Un invito all’ascolto, ad affinare i sensi in un universo dove acrobazie aeree, colpi di pistola, danze e giocolerie lasciano spazio ad una relazione profondamente umana col pubblico. Uno spettacolo emozionante e travolgente che “grazie ad un linguaggio universale e trasversale fao di musica, danza, teatro e circo parla a tutti perché agisce sullo stupore prima di  tutto, per poi farsi pensiero e riflessione.”

ROSALIND FRANKLIN

IL SEGRETO DELLA VITA

VENERDÌ 30 MARZO 2018_ORE 21.00 – Jesi, Teatro G.B. Pergolesi

di Anna Ziegler
con Lucia Mascino, Filippo Dini
regia Filippo Dini
e con Giulio Della Monica_Dario Iubatti_Alessandro Tedeschi_Paolo Zuccari
scene Laura Benzi
costumi Andrea Viotti
luci Pasquale Mari
musiche Arturo Annecchino
ideazione_realizzazione video Claudio Cianfoni
dramaturg Nicoletta Robello Bracciforti

produzione Teatro Eliseo

La grande storia è la scoperta della struttura del DNA e il piccolo straordinario racconto degli ultimi anni di vita della scienziata Rosalind Franklin. Ci troviamo di fronte ad uno degli avvenimenti più sconvolgenti e controversi nella storia del pensiero e delle conoscenze scientifiche. Tutta l’umanità si inchina e si compiace in un unico trionfale applauso nei confronti dei grandi scienziati che sono riusciti a decifrare quello che comunemente era definito il segreto della vita.
La vicenda, tuttavia, fu tutt’altro che epica e nobile. I personaggi coinvolti in questa scoperta furono molti, tutti scienziati autorevoli che collaborarono in diverse fasi alla stessa ricerca, ma che furono vittime e carnefici, a seconda delle alterne fortune, delle reciproche invidie e desideri di riscatto personali. Tutti lottarono per avere un personale posto di rilievo nella Storia, ognuno con le proprie capacità e le proprie motivazioni, talvolta anche nobili, ma sempre e comunque a discapito del sesto personaggio di questa storia, dell’unica donna di questa favola; una donna meravigliosa e detestabile, una persona limpida e contradditoria, ambiziosa e vigliacca, una donna fuori dalle umane catalogazioni e impossibile da raccontare: Rosalind Franklin. Il suo merito fu quello di fotografare un campione di DNA con una tecnica delicatissima e complessa che sfruttava la diffrazione a raggi X. In particolare, la fotografia numero 51 riuscì ad immortalare in modo più nitido la X della doppia elica del DNA.
Un grande dono che Rosalind fece alla scienza, all’umanità e a se stessa. L’ambiziosissimo James Watson, con la complicità del suo collega Francis Crick, sfruttò la fotografia per costruire un modellino del DNA, passando alla storia come il vero responsabile della grande scoperta, vincendo anche il Nobel, nove anni dopo, quando ormai la povera Rosalind era già prematuramente scomparsa all’età di 37 anni. Nel corso della pièce, i personaggi saltano continuamente da un presente, che non è definito, ad un passato, che è quello del ricordo, quello delle scene, in cui la vicenda della scoperta del DNA si interseca con la storia di Rosalind. Le scene, quindi, si alternano con i commenti e le dissertazioni dei personaggi al presente, in un continuo susseguirsi di immagini che risultano distorte, non verosimili o non coerenti a giudizio della nostra logica educata, ma che inevitabilmente contribuiscono ad arricchire e a comporre quel film, o quel sogno, che lentamente si srotola sereno e perfettamente compiuto nella nostra mente.
(Filippo Dini)

L’INQUILINA DEL PIANO DI SOPRA

MERCOLEDÌ 11 APRILE 2018_ORE 21.00 – Jesi, Teatro G.B. Pergolesi

di Pierre Chesnot

con GAIA DE LAURENTISUGO DIGHERO
regia Stefano Artissunch
e con Laura Graziosi
scene Matteo Soltanto
costumi Marco Nateri
disegno luci Giorgio Morgese

produzione Danila Celani per Synergie Arte Teatro

“L’inquilina del piano di sopra” è un classico della comicità di Pierre Chesnot, uno di quei rari meccanismi drammaturgici ad orologeria. Commedia dai buoni sentimenti che ride dei rapporti di coppia e di eventi come il tentativo di suicidio più volte minacciato dalla protagonista.
Una favola sul dramma della solitudine con un lieto fine sospirato, una commedia che mette il buon umore e fa amare la vita, proprio perché ridicolizza il dramma che ognuno di noi ha in sé.
“Ormai sei nato… non c’è più niente da fare!!!”
Due personaggi in crisi esistenziale ed un terzo l’amica di lei, che al giro di boa degli anta, quaranta lei e cinquanta e più lui, fanno i conti con il loro passato e si interrogano sulle aspettative del futuro. Una prospettiva fatta di solitudine e incomunicabilità che accomuna i protagonisti loro malgrado in un torrido agosto in cui sembrano gli unici superstiti di una Parigi deserta. Dopo il tragicomico tentativo di suicidio che si trasforma in una grottesca richiesta d’aiuto, “L’inquilina del piano di sopra” Sophie accetta, come ultimo tentativo, la sfida dell’amica Suzanne: rendere felice un uomo, il primo che le capiti a tiro. Un modo per dare senso alla propria vita dopo ventennali tentativi di rapporti andati a male. L’incontro è inevitabile: lui Bertrand, unico scapolo scontroso del palazzo, personalità eccentrica, professore universitario che si diletta nella costruzione di marionette, pupazzi e meccanismi automatizzati, diventa il protagonista involontario della vicenda. Inizia così il gioco dell’innamoramento in un alternarsi di stati d’animo che trascinano i due dal pianto al riso mentre si scoprono simili più di quanto possa apparire: insieme trovano la capacità di sdrammatizzare le piccole tragedie quotidiane per affrontare con leggerezza e lucidità la paura della solitudine.

Quando ho letto il testo di Chesnot istintivamente ho pensato alle atmosfere dello spettacolo, non ho dato dei giudizi critici su eventuali effetti moraleggianti, mi sono lasciato trasportare dalla vicenda dei protagonisti per capire fin dove voleva condurmi. E’ stato inevitabile il collegamento alle suggestioni della cinematografia di Jeunet e di Marc Caro, da Delicatessen al Favoloso Mondo di Amelie immaginando i due personaggi Sophie e Bertrand nel mondo incantato dei loro piccoli appartamenti. Mettere in scena questa commedia è come dare nuova linfa ad un testo brioso e fantasioso, divertente ma allo stesso tempo vitale. Mi piace l’idea di confrontarmi con gli ostacoli che Chesnot ha posto ai due protagonisti ed identificarmi in ognuno di loro come in Bertrand che vive attraverso i suoi pupazzi ed i suoi fantasiosi congegni. Un’ elegante favola moderna che mi auguro arriverà allo spettatore stuzzicando interesse e divertimento intelligente.
(Stefano Artissunch)