COME LA MARMELLATA CHE NON MANGIO MAI
inizio spettacoli ore 20.45
10 DICEMBRE Teatro Sperimentale ESCLUSIVA REGIONALE
regia di Liv Ferracchiati
con gli interpreti della Accademia d’Arte Drammatica di Roma
traduzione Fausto Malcovati, Liv Ferracchiati
progetto drammaturgico Liv Ferracchiati, Eliana Rotella
di e con Chiara Businaro, Giovanni Cannata, Leonardo Cesaroni, Giorgia Fagotto Fiorentini, Davide Fasano, Gabriele Graham Gasco, Pietro Giannini, Sara Mancuso, Adele Maria Masciello, Weronika Mlodzik, Riccardo Rampazzo, Paolo Sangiorgio, Matteo Santinelli, Marco Tè, Irma Ticozzelli, Claudia Tortora, Sara Younes e Fabio Carta (allievo regista)
testo del brano Tutte le vite di Gabriele Grahm Gasco
aiuto regia e coordinamento Anna Zanetti
scene Giuseppe Stellato
costumi Lucia Menegazzo
suono spalarossa
luci Luigi Biondi
movimenti Alice Raffaelli
consulenza letteraria Fausto Malcovati
illustratore Ehsan Mehrbakhsh
locandina Francesco Morgante
Il Gabbiano: a partire dal titolo, un problema di rappresentazione. Cajka, in russo, è femminile, associato direttamente al personaggio Nina. In italiano, un’intraducibile gabbiana.
In questo momento storico la rappresentazione di sé è un atto pubblico più che introspettivo. Lavorare su Il Gabbiano necessita il sapere qual è, se c’è, il motivo necessario per cui scegliamo di andare in scena, prendendoci uno spazio per indagare l’espressione di noi come presa di posizione non solo identitaria ma anche artistica e politica.
L’arte è area semantica di fallimento. La rappresentazione è, di sua natura, fallimentare. Ci viene da chiederci che cosa ci porta, nonostante la precarietà economica, la difficoltà di un riconoscimento e il mancato ricambio generazionale, a scegliere di inseguire un’idea che sarà, comunque, sempre inesatta. La croce di cui parla Nina è sempre presente.
Un testo come Cajka rimane urgente da affrontare oggi per la possibilità che ha di lasciare spazio alla carica sovversiva dell’esporsi, con tutte le sue conseguenze, alla possibilità di scardinare l’immaginario fisso del ruolo in quanto tale e far vivere una pluralità di possibili rappresentazioni, tutte legittime, senza il veto di una visione univoca decisa dall’alto. Esserci in una molteplicità dichiarata come atto di protesta verso il sistema totalitarista dell’univoco.
Mettere in scena Il Gabbiano ripetendo le scene, incastrandole, moltiplicando i personaggi, ha più a che fare con lo scardinare una gerarchia che con vaghi dolori borghesi. Annientare il giusto modo di esistere, in scena, come nella vita, riporta alla responsabilità di una libera scelta, di capire, alla fine, poi che farne, di tutta questa libertà.