JOHN GABRIEL BORKMAN
inizio spettacoli ore 20.45 – domenica ore 16.30
DAL 29 NOVEMBRE AL 2 DICEMBRE_MUSE esclusiva regionale
di Henrik Ibsen
regia Marco Sciaccaluga
con
Gabriele Lavia
Laura Marinoni
Federica Di Martino
Roberto Alinghieri, Giorgia Salari, Francesco Sferrazza Papa, Roxana Doran
scene e costumi Guido Fiorato
musiche Andrea Nicolini
luci Marco D’Andrea
versione italiana Danilo Macrì
Edvard Munch lo definì «il più potente paesaggio invernale dell’arte Scandinava». Ma il freddo dell’inverno, in questa vicenda scabrosa e claustrofobica, è tutto interiore, dell’anima.
John Gabriel Borkman è un self made man: per lui conta la carriera, a tutti i costi. Ha rubato, ma non per sé. Lo ricorda lo storico del teatro Roberto Alonge: ruba «perché si sente il portavoce del progresso, è l’angelo sterminatore del vecchio mondo precapitalistico». Condannato al carcere per i suoi loschi affari, Borkman torna libero ma si chiude in casa, in attesa di una “grande occasione”. Piero Gobetti descrisse il teatro di Ibsen come «l’itinerario dell’eroe in cerca del suo ambiente»: e qui l’ambiente è condiviso da due sorelle, entrambe presenti nella vita dell’uomo. La moglie, in un matrimonio freddo, aspro e irrisolto; e il primo amore cui Borkman ha rinunciato per interesse. È uno scontro fra femminile e maschile, è un abisso. Afferma ancora Alonge: «è l’universo della Cultura (che vuol dire repressione) contro la vita dell’istinto, della carne, della felicità».
JOHN GABRIEL BORKMAN ha attratto i maggiori registi al mondo: è un’opera complessa, austera, inquieta, e di raffinata bellezza per quei ritratti umani, per i dialoghi che possono essere attualissimi e al tempo stesso eterni. Affidati all’interpretazione di tre grandi attori, a partire da Gabriele Lavia come protagonista, con Laura Marinoni e Federica Di Martino, il BORKMAN, nelle sue “scene da un matrimonio” che sarebbero state care a Bergman, fa ancora esplodere le ambizioni di un secolo, l’Ottocento, intriso di superomismo e idealismo svelando quelli che saranno i grandi traumi del Novecento. E forse di oggi.