Paola Salmoni e Danilo Guerri (architetti progettisti)
Quella relativa al progetto di recupero del Teatro delle Muse di Ancona è una storia complessa, una sorta di melodramma a lieto fine basato sulle vicende di un edificio che ha dapprima smarrito traumaticamente la sua identità architettonica e funzionale per poi ritrovarla dopo una lunga e faticosa opera di ricostruzione.
La crisi comincia nell’immediato dopoguerra, col Teatro parzialmente danneggiato dai bombardamenti e con un clima politico e sociale poco incline alla ricostruzione dei “monumenti”, e che tende piuttosto a utilizzare le limitate risorse pubbliche per offrire ai cittadini case e servizi primari.
La Città, inoltre, è fortemente indecisa sul futuro del Teatro: da un lato si dilunga per un dibattito lungo e inconcludente sul suo recupero (emblematico il problema dei palchettisti); dall’altro è inevitabilmente sensibile alla generale tendenza (siamo negli anni del massimo boom del cinema), della trasformazione dei teatri ad uso anche cinematografico.
In ogni caso dall’incertezza degli obiettivi nasce un primo progetto di recupero dei primi anni sessanta che interviene all’interno del vecchio Teatro, cancellandone l’immagine originale, sostituita da una struttura in cemento armato chiaramente orientata anche verso la possibilità di utilizzazione cinematografica.
I lavori della nuova platea non vanno molto avanti, ma sono più che sufficienti a sancire la separazione netta tra l’involucro esterno del Teatro, ancorato al vecchio aspetto neoclassico e al ruolo di centro culturale virtuale della vita della Città, e la sua prosaica architettura interna, che rischiava di essere nuova senza essere moderna, funzionalista senza essere funzionale.
L’incompatibilità tra le due identità dell’edificio – l’involucro storico monumentale e la nuova struttura interna – è talmente eclatante da indurre nei primi anni settanta l’Amministrazione Comunale a sospendere i lavori e a rimettere in discussione “il futuro del passato” della città, cioè il nuovo Teatro delle Muse.
Da questo ripensamento, certamente debitore anche di un clima culturale molto più attento e sensibile alle preesistenze, ha origine il percorso che porta al nuovo progetto di trasformazione che allarga l’incarico del Teatro (prof. Montecamozzo, ingg. Picconi e Zaupa) all’arch. Danilo Guerri come capogruppo e più tardi anche all’arch. Paola Salmoni.
Il programma del nuovo gruppo di progettazione si basa proprio sul tentativo di riformulare un nuovo assetto del Teatro, tenendo conto delle ulteriori importanti acquisizioni patrimoniali da parte pubblica (lato via della Loggia e locali Papini) e di “restaurare’ un rapporto armonico e produttivo tra l’interno moderno del Teatro e le sue facciate neoclassiche. Dove per interno del Teatro si intende anche l’insieme delle attività creative e culturali che vi si svolgono e per esterno si intende ovviamente la Città, la sua vita associativa e culturale, la sua necessità di riconoscersi nei suoi monumenti consolidati.
In questa prospettiva, le scelte che hanno portato all’attuale architettura appaiono come un percorso lineare e quasi inevitabile a partire dalla conservazione di quanto si poteva conservare: le facciate esterne, la scala d’ingresso, il vecchio atrio. Si comprende così l’architettura memorabile della grande sala principale, “moderna” perché ovviamente testimone di due secoli di evoluzione della concezione dello spazio teatrale, “monumentaIe” e urbana nella dimensione e forma, nell’espressione architettonica, nell’evidente continuità concettuale con lo spazio urbano esterno. Si comprende anche l’enfasi posta in tutti gli spazi più pubblici del Teatro – atrio, foyer, sala delle feste – e in tutti i percorsi che collegano Città e Teatro.
Anche i materiali impiegati sottolineano la volontà di tenere insieme le due anime della vita del Teatro: quella nomade e precaria della “rappresentazione”, fatta di strutture leggere di legno e metallo, graticciati e ballatoi, e quella di monumento urbano, fatto di mattoni e pietre, di forme retoriche e di significati collettivi.
Simbolicamente il punto di incontro tra la vecchia e la nuova struttura avviene proprio nel punto di massimo contatto con la Città, nello scalone a tenaglia, nelle antiche colonne, nell’atrio al prima piano.
L’aggiornamento funzionale delle strutture e delle attrezzature, insieme all’adeguamento alle normative attuali, ha finito per rendere ancora più persuasiva la presenza del Teatro nella Città, annettendo alle Muse l’intero isolato compreso tra via Gramsci, via della Loggia e via degli Aranci.
Il risultato è di rendere ancora più evidente e cruciale la centralità che questo complesso dovrà avere nella vita della Città, come memoria di una felice consuetudine culturale e come premessa dell’attività di un nuovo laboratorio culturale importante per tutta la Regione.