Best regards
di e con Marco D’Agostin
suono, grafica LSKA
testi Chiara Bersani, Marco D’Agostin, Azzurra D’Agostino, Wendy Houstoun
luci Giulia Pastore
scene Simone Spanghero, Andrea Sanson
supporto scientifico The Nigel Charnock Archive, Roberto Casarotto
supporto drammaturgico Chiara Bersani, Claudio Cirri, Alessandro Sciarroni
supporto tecnico Chiara Bersani, Claudio Cirri, Alessandro Sciarroni
movement coach Marta Ciappina
cura, promozione e traduzione Damien Modolo
tecnica Paolo Tizianel
video e foto Alice Brazzit
organizzazione e amminstrazione Eleonora Cavallo, Federica Giuliano
produzione VAN
direzione tecnica Paolo Tizianel
cura e promozione Marco Villari
con il supporto di Points-Communs – Scène Nationale Cergy-Pontoise, Centrale Fies, MARCHE TEATRO/inTeatro Festival, the WorkRoom (Fattoria Vittadini), Teatro Comunale di Vicenza, L’Arboreto – Mondaino, ARTEFICI.ResidenzeCreativeFvg di ArtistiAssociati
note
“Dear N,
You were too much.
Too funny.
Not just plain funny but, you know:
silly funny, witty funny,
biting funny, cutting funny, ferocious funny,
despondent funny, frightening funny.
And physical too.
Yes too physical by half.
Too body, body.
Too bodily body to be theatre
and too entertaining to be serious.”
Così inizia la lettera mai recapitata che Wendy Houstoun scrisse al suo amico e collega Nigel Charnock, pochi giorni prima che lui morisse, nell’agosto del 2012. Nigel era stato uno dei fondatori dei DV8 – Physical Theatre negli anni ’80; aveva poi proseguito in solitaria come performer e coreografo, dando vita a una serie di formidabili assoli. Per chi lo ha conosciuto egli era, esattamente come nelle parole di Wendy, “too much”.
Con i suoi spettacoli, esplosioni ipercinetiche in cui il canto, la danza, il grido, l’improvvisazione, la finzione e la realtà palpabile della performance restavano sospesi su vuoto abissale, ha allargato le maglie del genere “danza contemporanea” ed è sembrato incarnare alla perfezione quella possibilità dell’arte che David Foster Wallace avrebbe chiamato “failed entertainement” (intrattenimento fallito). In lui tutto era energia, desiderio, volontà. Eppure, come disperatamente ripete nel suo solo One Dixon Road, “there’s nothing else, it’s nothing, nothing”: non c’è nient’altro, niente, niente ha senso.
Il mio incontro con lui, avvenuto nel 2010, ha segnato in modo netto il mio modo di pensare la danza. Nigel rappresentava ai miei occhi la possibilità che in scena tutto potesse accadere ed esplodere.
BEST REGARDS è la lettera che scrivo, con 8 anni di ritardo, a qualcuno che non risponderà mai. È un modo per dire: Dear N, I wanted to be too much too (“Caro N, anch’io volevo essere troppo”). Come ha osservato Ottavio Fatica, “le lettere giunte in ritardo mettono sotto accusa il tempo per non essere la durata assidua che si postula, bensì costellazione, via lattea d’istanti”. Ogni lettera, infatti, viaggia da un presente a un altro che potrebbe non trovare ad aspettarla. Da questo presente io rivolgo a tutti gli spettatori lo stesso invito: cantiamo assieme di una nostalgia che ci riguarda, noi che non siamo arrivati in tempo per dire quello che volevamo. All’ombra del tempo scaduto, e sotto la luce che Nigel continua a proiettare sulla scena di chi oggi danza, facciamo risuonare un ritornello martellante, spieghiamo di fronte ai nostri occhi un foglio bianco e chiediamoci: come la cominciamo, questa lettera impossibile?