Il lavoro di vivere
di Hanoch Levin
uno spettacolo di Andrée Ruth Shammah
ripreso da Carlo Cecchi
con Carlo Cecchi
e con Fulvia Carotenuto, Massimo Loreto
allestimento scenico di Gianmaurizio Fercioni
luci di Gigi Saccomandi
costumi di Simona Dondoni
musiche di Michele Tadini
date
15 febbraio/5 marzo 2017 Roma Teatro Piccolo Eliseo
9/12 febbraio 2017 Pistoia Teatro Bolognini
1/4 febbraio 2017 Firenze Teatro della Pergola
25/29 febbraio 2017 Napoli Teatro Nuovo
24 gennaio 2017 Caserta Teatro Comunale
17/22 gennaio 2017 Torino Teatro Gobetti
11/15 gennaio 2017 Ancona Teatro Sperimentale
note
Per la prima volta è in scena in Italia Il lavoro di vivere, opera feroce di Hanoch Levin, uno dei più importanti autori e drammaturghi israeliani.
Protagonista della storia – una relazione tra due persone di mezza età dove l’amore appare a barlumi folgoranti, in mezzo a un mare d’insulti, parole durissime e rimpianti – è il magistrale Carlo Cecchi, affiancato da Silvia Carotenuto e Massimo Loreto.
Il teatro di Levin è irriverente e la poesia si nasconde dentro le situazioni più imbarazzanti; i suoi testi sono una commistione di spiritualità nobile e di cruda realtà.
Molto amato in Francia e negli Stati Uniti, Levin, figlio di sopravvissuti all’Olocausto, è stato spesso contestato per le controverse posizioni politiche verso il suo Paese. Andrée Ruth Shammah ha detto dell’autore: “ Levin è uno che è sempre andato contro il trionfalismo israeliano, che obbliga a mettersi in gioco con una matrice ebraica universale, portando tragedia e commedia a sfiorarsi con la tipica ironia della disperazione”.
Si potrebbe pensare che il rapporto tra i personaggi della pièce, marito e moglie, abbia delle similitudini con il rapporto dello stesso Levin con la propria terra, amata e odiata insieme e nei confronti della quale ha nutrito sentimenti contrastanti di desiderio e distacco.
estratti stampa
La regia della Shammah, ambienta giustamente questo piccolo inferno mentale nell’intimità di una camera da letto, col pubblico raccolto tutt’intorno a quel metaforico giaciglio sfatto. Da alcuni punti della sala si può vedere solo attraverso delle veneziane aperte, per accentuare nello spettatore l’impressione di spiare nei recessi oscuri di quelle anime in pena. Lo spettacolo si avvale in special modo del carisma, dell’alto magistero interpretativo di Carlo Cecchi.
Renato Palazzi (Il Sole 24 ore)
Il rito ripetitivo della coppia che si dilania è aperto a tutte le interpretazioni: quelle psicoanalitica alla Svevo, quella esistenziale alla Pinter, e, se il teatro ha ancora il potere di spiegare e far capire, la più interessante sembra quella politica. Per questa lettura propende la lucida regia di Andrée Ruth Shammah, la quale evita il naturalismo, usando gli attori spogliandoli dalla “recitazione”. Cecchi torna a incarnare il gran teatro d’attore come si amava in passato e oggi sempre più raramente si vede.
Anna Bandettini (La Repubblica)
Andrée Ruth Shammah propone uno spettacolo di raffinata incisività, in bilico tra sarcasmo e una allegria disperata, dove tutto concorre a disegnare precarietà e difficoltà, a partire dal piano inclinato su cui è poggiato il letto dei due attanagliati dalla propria grandiosa mediocrità. Bellissima l’interpretazione di Carlo Cecchi.
Magda Poli (Corriere della Sera)
L’esemplare regia di Andrée Ruth Shammah ci ha permesso di conoscere uno dei maggiori drammaturghi israeliani, Hanoch Levin, molto lodato e altrettanto criticato nel suo Paese. In una scena ridotta a ring, si fronteggiano due anziani coniugi: la vitale Fulvia Carotenuto e un magistrale Carlo Cecchi.
Maria Grazia Gregori (L’Unità)
La regia, curata ed elegante, si avvale di un cast di lusso: Carlo Cecchi è Carlo Cecchi; superlativo, cinico, muriatico.
Infine, una parte in commedia spetta anche al pubblico, arroccato a pochi centimentri dalla scena: è la platea delle anime defunte che, quotidianamente, assiste alla recita dei vivi – il cui lavoro di vivere altro non è che un allenamento a morire.
Camilla Tagliabue (Il Fatto Quotidiano)
Cecchi è superbo, eccellenti Fulvia Carotenuto e Massimo Loreto, sorretti dal nitido segno registico di Andrée Ruth Shammah. Levin getta una luce spietata e sarcastica sulle macerie dell’amore nella terza età.
Roberto Barbolini (Il Giorno)
materiali
poster 70×100
foto di scena